1888, lo strano suicidio del vicepretore di Terni

Sucida sparandosi sei colpi in testa

Suicidio, si disse. E così la pratica fu conclusa, dopo una breve indagine. Ma se di un suicidio si trattò, quello del vicepretore di Terni fu davvero un suicidio strano. Se non altro perché il giovane vicepretore (26 anni) originario di un paesotto in provincia di Siena si era tolto la vita sparandosi sei colpiti di pistola alla testa. Poi per una strana lettera indirizzata al pretore e messa in bella vista sulla scrivania.

Era il 30 ottobre del 1888. Come ogni mattina si presentò in ufficio e dopo pochi minuti dall’essere giunto sul posto chiamò il cancelliere chiedendogli di consegnargli la chiave della stanza dove erano custoditi i corpi di  reato: “Devo fare una verifica per lo studio di un processo” spiegò. Dopo poco rientrò in ufficio e dopo aver scritto una lettera al pretore  – secondo la versione riferita dal Messaggero e ripresa dal Corriere della Sera –“si tirò sei colpi di rivoltella alla testa- Due fallirono: uno gli fracassò la mascella, due il palato” mentre il sesto attraversò il cranio.

Nessuno avebbe sentito rumori, eppure sei colpiti di rivoltella avrebbero dovuto farne di rumore. Sicuramente molto più dei gemiti uditi dal cancelliere che accorso trovò il vicepretore in agonia. Inutile la corsa in ospedale dove giunse cadavere. Per spararsi aveva usato un revolver che aveva preso tra i corpi di reato conservati in pretura.

Quali motivazioni aveva quel giovane vicepretore per essere tanto disperato e determinato a farla finita? “La ristrettezza della sua posizione deve aver contribuito alla sua triste fine”, fu l’ipotesi avanzata. E la lettera al Pretore? Che cosa v’era scritto? “Dicesi che nella lettera – aggiungevano i giornali – egli dichiari che, in vista di un processo, risolvette di uccidersi” Pero si aggiungeva che “a Terni nessuno saprebbe che i suicida dovesse essere processato, perciò – si arguiva – la lettera si riterrebbe scritta a scopo di fuorviare le indagini”. Che invece, a quanto se ne sa 130 anni dopo, finirono lì. Al suicida, comunque, “la città rese onoranze funebri molto decorose, prendendovi parte il Procuratore del Re di Spoleto, il Pretore che rappresentava il Procuratore generale, il sotto Prefetto, la rappresentanza municipale, la Curia, il Presidio Militare appartenendo all’esercito come ufficiale di complemento, la direzione degli stabilimenti Industriali ed ogni ceto di cittadini”.

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