Trecento ternani a Alfonsine per cacciare i nazisti

«Ah, lei è di Terni. Lo sa, no, che qui di Terni abbiamo grande rispetto. Alcuni ternani sono morti per liberare questo posto dai nazifascisti». L’uomo è anziano, abita ad Alfonsine, provincia di Ravenna, vicino al fiume Senio. Nel 1944-45 questi luoghi furono sede di uno dei più lunghi e duri scontri tra le forze armate di Liberazione e i tedeschi. Il paese

era stato quasi completamente distrutto, ma nessuno degli abitanti se ne andò. Correndo grossi pericoli, tutti rimasero testardamente a casa loro, in una sfida anche morale con la Wehrmacht.

Il monumento che ricorda la battaglia del Senio sulla piazza principale di Alfonsine

L’incontro avviene sulla piazza principale del paese: manco a dirlo, piazza Antonio Gramsci. Dominata da un monumento che ne occupa tutta la parte centrale, fatto di muretti che servono da panchine, di sculture in ferro, di una pesante lastra di granito su cui è scolpito il ricordo: “Sul Senio il nuovo esercito italiano, il popolo ed i partigiani del Corpo Volontari della Libertà fecero crollare l’ultimo baluardo dell’occupante nazista e del fascismo”.
Era il 10 aprile del 1945 quando il battaglione Cremona entrò in paese.
Non erano pochi gli umbri che s’erano arruolati come volontari nel Battaglione Cremona del ricostituito esercito italiano: provenivano principalmente da Foligno, Spello, Umbertide, Città di Castello, Perugia. E da Terni. Trecento (per l’esattezza 302) erano i ternani che andarono a combattere in Romagna. Alcuni di loro, giovani di vent’anni, non fecero ritorno.
Da Terni erano partiti il 2 febbraio del 1945: «Era da poco sorto il sole, in quella fredda mattina, e già su piazza Solferino c’erano gruppi di persone… Si era saputo _ ha raccontato Alarico Gigli, uno di quei trecento, in un libro di testimonianze edito a cura dell’Anpi qualche anno fa _ che c’era la possibilità di continuare a combattere per arrivare il prima possibile alla definitiva cacciata e sconfitta della dittatura nazista e fascista. Salvo alcuni compagni che furono impediti da particolari ragioni, tutti avevano chiesto di partire».
«Erano tutti lì quella mattina _ continua la testimonianza di Gigli _ chi con un sacco da montagna  gonfio a crepare, chi con una valigia rinforzata da cinghie e legacci».
Piazza Solferino era affollata. Oltre ai volontari non mancavano i familiari, le sorelle, le fidanzate, e tante madri, preoccupate perché il loro figlio partiva, comunque, per andare a combattere. Una malinconia, la loro, cui faceva da contraltare l’allegria di un folto gruppo di partenti, che aveva passato la nottata in festa, al circolo “Stella Rossa”, che dopo la liberazione di Terni avvenuta nel giugno del 1944, era stato aperto al primo piano di Palazzo Montani: ad una certa ora, fattosi l’ultimo bicchiere e l’ultimo giro di valzer, non avevano dovuto far altro che scendere una rampa di scale, per trovarsi in piazza Solferino. Li aspettava un futuro di pericoli, di disagi, di sacrifici; ma si trattava di ragazzi di vent’anni, euforici perché avevano la consapevolezza di andare a battersi per affermare un ideale.

La piazza principale di Alfonsine dominata dal grande monumento

Furono fatti salire sui cassoni dei camion del battaglione, che era aggregato ad una brigata canadese. Un giorno di viaggio, su strade sconquassate, in mezzo alle rovine e le miserie di un’Italia percorsa dalla guerra. «Arrivammo a Ravenna che ormai era notte _ è la testimonianza di Claudio Locci _ Ci scaricarono alla caserma “Conte di Cavour”… Fummo costretti a dormire, ancora con i vestiti borghesi, sul cemento. In uno stanzone senz’acqua né luce. Le finestre erano senza vetri, faceva un freddo tremendo. Molti di noi accesero dei fuochi e, nonostante la stanchezza, passarono la notte parlando. Tra l’altro a rendere impossibile il riposo c’era il fatto che si udivano, vicini, i colpi dei cannoni al fronte».
La mattina seguente ai volontari fu consegnata una divisa inglese «sulla quale però noi mettemmo i simboli del nostro esercito e qualche fazzoletto rosso», specifica Locci. Poi l’addestramento, per imparare ad usare le armi in dotazione. Roba ben diversa da quella che era stata usata nella guerra partigiana: armi vecchie e rispolverate, insieme a fucili e pistole di fabbricazione slava, francese, americana, tedesca: tutto quel che capitava.
Quindi subito in combattimento, in prima linea, sul fronte romagnolo; le battaglie di Chiavica Pedone, e quella, particolarmente cruenta del fiume Senio, che aprì la strada verso Alfonsine. La guerra poi continuò, ma Alfonsine divenne il simbolo della liberazione della Romagna. E ad Alfonsine, il 10 aprile di ogni anno, continua a tenersi una grande cerimonia in onore e ricordo di quei giovani caduti per un’Italia che volevano fosse migliore.

Alfonsine, giugno 2011

300 giovani ternani a Alfonsine per cacciare via i nazisti

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