Ma come troppo spesso succede, alla fine, si decise per una specie di sanatoria, chiudendo la vertenza giudiziale che s’era aperta per denuncia del Comune di Terni. Così il 7 febbraio 1558, si scrisse il contratto con cui, formalmente rinunciando ad ogni attività giudiziale, si sanciva la vendita di quel terreno a Girolamo Castelli.
Il quale dovette, almeno, inghiottire un boccone piuttosto amaro: cento scudi gli costò il terreno, in più ogni anno avrebbe dovuto versare al Comune una soma d’olio (un quintale) perpetuamente, fosse o no in attività quel mulino, a cominciare dalle calende di marzo di quello stesso anno, in pratica dopo tre settimane. La soma d’olio, alla fine, non corrispondeva ad una spesa impossibile, ma cento scudi erano cento scudi. E non bastava: Castelli avrebbe dovuto pagare al Comune un usufrutto di nove scudi l’anno, a partire dal 25 aprile dell’anno successivo a quello della stipula dell’accordo, dando in garanzia il mulino stesso.