Amore e guerra: le nozze dopo uno “scontro” nel rifugio antiaereo

TERNI MIA

di LORENZO MANNI

di LORENZO MANNI

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A Terni, durante la guerra, all’interno delle fabbriche furono realizzati diversi rifugi antiaerei per fare riparare i lavoratori durante le incursioni dei bombardieri alleati. I rifugi erano costruiti nel rispetto di norme tecniche che prevedevano una serie di scalini per scendere sotto il livello del suolo per tre o quattro metri; il cunicolo compiva poi una curva, percorsa la quale si entrava in uno stanzone al cui interno alcune panche permettevano agli “ospiti” di sedersi. La curva aveva la finalità di smorzare lo spostamento d’aria e fermare le schegge nel caso che una bomba cadesse in prossimità dell’entrata.

Era d’estate, l’estate del 1943. Suonarono le sirene dell’allarme antiaereo e tutti corsero verso i rifugi. In molti si accalcarono in un rifugio costruito tutto in cemento, poi coperto da terra riportata. L’afflusso di aria era garantito da uno sfiatatoio.

In tempo di guerra in fabbrica lavoravano molte donne, per la maggior parte operaie con mansioni “leggere”, principalmente il collaudo dei proiettili. Era infatti questo il compito di una ragazza di vent’anni, che era tra coloro che, comprensibilmente preoccupati e impauriti, affollarono quel rifugio.

Tra gli ultimi ad entrare, stazionava vicino l’uscita del bunker un giovanotto: era un guardiano, armato di moschetto secondo ordinanza. Tutti lì ad aspettare, che le sirene comunicassero il cessato allarme, il segnale che si poteva abbandonare il rifugio e che tutti aspettavano con ansia.

Le sirene non avevano ancora emesso il loro suono liberatorio, ma che il bombardamento fosse finito si percepiva: il caldo, la necessità di scaricare la tensione furono gli elementi che spinsero tutti ad anticipare l’uscita all’aria aperta. operai e operaie si avviarono, concitati quasi travolgendo il giovane guardiano che tentava di far rispettare le regole di sicurezza e che, inascoltato, cercava di fermarli e ad aspettare il segnale che il pericolo era cessato. Pressato, il guardiano era indietreggiato fino al limite delle scale dell’uscita dal rifugio, quando un operaio, sordo ad ogni raccomandazione, lo spintonò in maniera risoluta e cercò di scappare su per le scale. Il guardiano cadde all’indietro, ma rialzandosi reagì colpendo il suo avversario con la cassa del moschetto, mandandolo a terra. La ragazza del collaudo proiettili, che era lì a due passi, soccorse il collega e ne disse di cotte e di crude al guardiano che, sorpreso dalla reazione della giovane – che aveva comprensibilmente accumulato una certa tensione durante l’incursione degli aerei nemici- rimase fortemente mortificato.

La ragazza si rese conto, dentro di sé, di aver forse esagerato. Quando alcuni giorni dopo incontrò di nuovo quel giovane guardiano non potette fare a meno di fermarsi a scambiare quattro chiacchiere. Finirono per conoscersi un po’ meglio. Gli incontri si infittirono, poi cominciarono a darsi appuntamento anche fuori della fabbrica. Era fatta: alla fine del 1945 si sposarono. La guerra era finita, davanti avevano la prospettiva di una vita fatta di sacrifici, ma con un futuro da perseguire.

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