Attigliano, così sparì un borgo del ‘500

I resti delle mura di Attigliano
Attigliano, quel che resta delle mura e del castello

A prima vista potrebbe sembrare una storia di lungaggini burocratiche, di dimenticanze, di scarsa considerazione da parte dei “capoccioni” di Roma per i problemi di un piccolo centro dell’Umbria meridionale, ai confini col Lazio: Attigliano. Ma a leggere oggi certi resoconti giornalistici dell’epoca c’è da farsi accapponare la pelle. Decine di famiglie hanno vissuto per anni in un agglomerato di case vecchie e pericolanti, svicolando tra la caduta di calcinacci e il pericolo di inciampare nelle gobbe formatesi sul pavimento a causa di un terreno in continuo movimento franoso.
Qualche risposta per la verità, da Roma, era arrivata: un’indagine dell’ufficio nazionale geologico, poi un decreto del Presidente della Repubblica, che dichiarava il centro storico di Attigliano pericolante ed inabitabile. Era il 1960. Dieci anni dopo ad Attigliano la situazione non era cambiata di una virgola, nonostante altri impegni ed altre promesse da parte del governo. Finché la giunta comunale non decise di prenderla di petto, appontando un piano per la demolizione di quelle vecchie case, ormai molto peggio che insicure. Erano tutte le centro storico del paese, e molte delle abitazioni erano state ricavate utilizzando il castello medievale ed il palazzo baronale, fatto costruire nel XVI secolo dai Farnese. Si trattava di case popolari, i cui abitanti furono sfrattati e trasferiti in abitazioni di proprietà privata di cui la Prefettura si accollava le spese.
Tutto risolto? Macché. Divampò la polemica, tanto più che negli anni, era successo che ad una pluriennale amministrazione democristiana ne era succeduta una a guida Pci. I due schieramenti si fronteggiarono senza esclusione di colpi, e mentre il ruolo di Don Camillo fu ricoperto dal parroco Bruno Medori, quello di Peppone non toccò al sindaco, ma ad un parlamentare comunista, Alberto Guidi. Il parroco difendeva dalla demolizione quelle antiche costruzioni tra le quali era compresa la parrocchiale dedicata a San Lorenzo Martire, risalente anch’essa al XVI secolo.
Nel 1980, vent’anni dopo che il Presidente della Repubblica aveva decretato l’instabilità di quelle abitazioni, incuranti delle proteste, arrivarono le ruspe. Giù quasi tutto.
Adesso al posto del borgo secolare c’è una piazza, di porfido, con aiole, cestini per i rifiuti, un bel – si fa per dire – parcheggio individuabile prima di tutto per le macchie d’olio sul porfido. «Mah – racconta un signore di una certa età la cui abitazione dà proprio sulla piazza – dice che il terreno era franoso e allora hanno buttato giù tutto. Che ne penso io? Io non c’ho capito mai gnende. C’erano ‘n bo’ de case vecchie, c’era un bello palazzo… Po’ il prete decise che voleva fa’ la chiesa nova. Po’ so’ arrivati li politici… Oh, da allora fosse franato ‘n metro de terra!». Del castello sono rimasti alcuni torrioni, il portale d’ingresso e un tratto delle mura a ridosso delle quali è stato costruito un teatro all’aperto. E’ rimasta pure una torre con un bell’ orologio a dodici ore con una sola lancetta,ma al momento non funziona.
Che lì c’era la parrocchiale è testimoniato da alcune colonne, che spuntano da un prato verde. A San Lorenzo è stata dedicata un bella chiesa moderna, dall’altra parte del paese. Sono lì dentro due opere d’arte che furono nella vecchia: un ciborio ed una fonte battesimale del 1500.

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