Caccia all’eredità del prete milionario

ll 10 gennaio 1952

La notizia fu ufficializzata: don Attilio Bellachioma era morto il giorno prima a Villa Massari, la clinica psichiatrica di Perugia, in cui era finito con tutta probabilità anche a causa delle troppe emozioni e lo stress che aveva subito dalla fine di settembre del 1951. Per la precisione dal 23 settembre: quel giorno un cavallo francese, Niagara, vinse il Gran Premio ippico a Merano, il Gran Premio Lotteria. Al cavallo era abbinato il biglietto L60297 venduto a Perugia cui andavano i quaranta milioni del primo premio.

Lotteria di Merano, primo premio a Perugia
Don Attilio vincitore del primo premio alla lotteria di Merano del 1951

Nel 1951 un quaderno costava 12 lire, un quotidiano 25, una Topolino Fiat 730mila e, tanto per rendersi conto fino in fondo, proprio in quel periodo, c’era stata una colletta per raccogliere le settantamila lire necessarie per un’operazione che avrebbe dato la vista a una bimba di tre anni.
A Perugia la ricerca del “fortunato vincitore” durò poco. Quel biglietto lo aveva comprato un prete a riposo: lui, don Attilio. A lui che  se ne stava tranquillo nella casa di accoglienza per preti anziani in via Imbriani a Perugia, capitò tra capo e collo quell’improvvisa notorietà: fu rucercato, intervistato, la sua vita fu raccontata con mille particolari. Originario di Firenze, abbracciò la vita sacerdotale dopo la morte dei genitori. Un evento che lo cambiò radicalmente. Fino ad allora, giovane di belle speranze, aveva condotto una vita tutt’altro che monastica, ma la scomparsa del padre e della madre fece nascere in lui la convinzione che quel comportamento tenuto fino ad allora era espressione di una vita vuota.
Da sacerdote fu nella guerra ’15-’18, poi parroco nel Perugino.
Quel biglietto della lotteria – raccontò in una delle interviste – l’aveva acquistato tre giorni prima della corsa ippica: al banco lotto di via Alessi avevano insistito tanto e lui compèrò “la cartella” che poi ripose nel portafogli. “Il Signore – disse a quelli che lo intervistarono – ha voluto darmi un segno. Ha realizzato il mio sogno che è quello di soccorrere gli infermi”. Tutto in beneficienza, insomma.  Ma la demenza senile – accelerata proprio dallo stress susseguente alla vincita – accelerò il suo decorso.
“Beneficienza un corno” pensarono i parenti vicini e lontani spuntati come funghi. Non appena don Attilio fu spirato si presentarono in ventiquattro a reclamare l’eredità. La faccenda si annunciava complicata. Perché il sacerdote non aveva discendenti diretti, ovviamente, e quindi andava stabilita una specie di graduatoria tra gli aventi diritto. C’era sempre una bella somma da spartirsi, anche se tredici dei quaranta milioni mancavano all’appello: don Attilio aveva già fatto alcune cospicue donazioni, ed aveva acquistato un paio di appartamenti a Firenze. Ma l’assalto si rivelò infruttuoso, perché un mese dopo fu ritrovato il testamento: tutti gli averi di don Bellachioma andavano al seminario sacerdotale di Perugia e nel caso l’eredità non venisse accettata, doeva essere impiegata per costruire un sanatorio per i sacerdoti. Così aveva stabilito don Attilio prima di finire a Villa Massari. E così fu. Parenti o non parenti.

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