Carlo Brugnami, da Corciano alla vetta dello Stelvio

Carlo Brugnami

Giro d’Italia del 1961, un’edizione speciale che celebrava i cent’anni dall’Unità d’Italia. L’ultima tappa, come spesso accade nei grandi giri, si concluse con un volatone finale e la vittoria di Miguel Poblet, velocista spagnolo. Il Giro del Centenario fu vinto da un corridore italiano, Arnaldo Pambianco. Nono nella classifica generale fu un giovanotto con la maglia bianca e azzurra della Torpado: Carlo Brugnami, classe 1938, di Corciano.
Bella soddisfazione! «Macché – ricorda Brugnami, oggi imprenditore nel settore turistico – Ad un certo punto, sullo Stelvio, ero maglia rosa virtuale, ma bucai. Dovetti aspettare più di sette minuti l’ammiraglia, per cambiare la ruota. Era la seconda volta, quel giorno». Addio sogni di gloria.
La tappa che da Trento portava a Bormio era la tappa più dura del giro, lunga 270 chilometri e con tre montagne da scalare: il passo di Pennes (2211 metri di altezza), Monte Giovo (2094 metri), e infine lo Stelvio, la vetta del giro coi suoi 2757 metri. Dallo Stelvio al traguardo c’erano dieci chilometri di una brutta discesa. Era la penultima tappa, decisiva per vittoria finale. Carlo Brugnami, un pensiero ce lo fece. Sullo Stelvio era in fuga, con Rik Van Looy, il campione del mondo, e Hans Junkermann, campione di Germania. Pambianco, la maglia rosa, aveva otto minuti di distacco. «Loro erano i campioni titolati, io non collaboravo molto – ricorda Brugnami – Così, sa come succede… Mi trovai per terra». Una spallata e, riferirono i giornali dell’epoca, la ruota di Brugnami andò contro quella di Junkermann. Cambiata la ruota iniziò l’inseguimento a Van Looy, rimasto solo in testa, dopo che Junkermann, colpito da crampi, aveva dovuto desistere. Da Van Looy, Brugnami era staccato di un minuto,ma ne aveva quattro di vantaggio su Gaul, Anquetil, Suarez e Taccone; quasi cinque minuti su Pambianco, Massignan, Battistini. La strada diventava sempre più stretta, in mezzo a due muri di neve, la vetta si avvicinava. Charlie Gaul, fortissimo scalatore lussemburghese, attaccò. Piantò Anquetil e compagnia, e con poco raggiunse Brugnami. Il giovane della Torpado fu subito staccato. Gaul andò a riprendere Van Looy. Brugnami, attardato dalla foratura, perse alcune posizioni e a Bormio fu sesto dietro Gaul, Van Looy, Suarez, Carlesi, Anquetil.
C’era di che essere contenti per uno che era passato tra i professionisti l’anno prima. A 23 anni si era ben messo in mostra. Anche perché era stato protagonista pure il giorno prima nella tappa da Vittorio Veneto a Trento: 249 chilometri con la scalata del Falzarego (2105 metri) e del Pordoi (2239 metri). Proprio sul Pordoi si scatenò la battaglia. In vetta passò primo Vito Taccone, davanti ad Imerio Massignan, Junkermann e Brugnami. La discesa era particolarmente pericolosa: pioggia fitta e gelata, strada scivolosa, nebbia. Taccone tirò i remi in barca, ma al suo posto arrivò De Filippis che, discesista di gran coraggio, riprese i fuggitivi. La vittoria se la giocarono in volata. «Ancora oggi non ho dubbi – ricorda il campione di Corciano – sulla fettuccia sono passato per primo io, pure se gomito a gomito con Willy Schroeders. Si appellarono al fotofinish, ma non era piazzato una granché bene. Hanno detto che ha vinto lui… ».
Un giro da dimenticare o da ricordare per Carlo Brugnami? «Oggi sicuramente da ricordare – dice – ma allora…».
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