Ad una richiesta in tal senso essi potevano assentire soltanto diero il pagamento di un pegno consistente e commisurato al valore della “crittura” richiesta. Lo scopo era quello di evitare che libri ed atti originali detenuti dai notai andassero smarriti o – peggio – venissero rubati. Si trattava pur sempre di “carte” sulle quali “riposa la fede pubblica”, spiegava il consiglio cittadino. Il quale affinché il divieto fosse rispettato faceva voti che “i Signori Priori punisser severamente e senza riguardi i Notari che non rispettassero cotesto salutare divieto”.
Fonte:
Lodovico Silvestri, “Collezione di memorie
storiche tratte dai protocolli delle antiche
riformanze della città di Terni dal 1387 al 1816".
Ristampa a cura di Ermanno Ciocca.
Terni 1977, Ed. Thyrus.