Il batiscafo di Picard: un pezzo della storia della “Terni” da ritrovare e valorizzare

batiscafo Picard

Storia e Memoria

di SERGIO BELLEZZA

Storia e memoria rubriche batscafo

Ricorre in questi giorni il 139° anniversario della nascita dell’Acciaieria (⇰ L’atto di nascita delle acciaierie). Lo celebriamo ricordando una delle pagine più belle e prestigiose della sua attività produttiva.

Era il 12 Marzo del 1952, quando, con la colata di due lingotti di 24 tonnellate cadauno d’acciaio speciale, si dava inizio alla fabbricazione della cabina del batiscafo Trieste, con cui Auguste Piccard avrebbe raggiunto i 3.700 m. di profondità a sud dell’isola di Ponza. Un’opera unica che ha fatto scuola nel mondo e accresciuto il prestigio e la fama della Soc. TERNI, realizzata accoppiando due semisfere, ottenute riducendo a disco lingotti di acciaio AIAX, lega speciale per la produzione di cannoni, con la pressa da 12.000 e forgiati a caldo coll’imbutitore a stampo. Ore e ore di discussione collo scienziato svizzero avevano portato alla definizione del progetto e alla realizzazione di un modellino del batiscafo, utilizzato per prove fluidodinamiche nel lago di Piediluco, e oggi depositato al Museo della Scienza e della Tecnica di Milano.

Coordinatore del progetto fu l’ing. Vincenzo Flagello, grosso esperto di Meccanica e responsabile del Centro di Formazione Professionale della Società. Il diagramma di forgiatura prevedeva la ricalcatura,  la sagomatura del disco e la sua imbutitura,  tre fasi successive di ricottura, le prove di verifica e infine la lavorazione meccanica delle due semisfere. La colata dei lingotti avvenne per tranquillità di notte, usando la massima precauzione, per evitare tra l’altro di introdurre  nel forno idrogeno, che se assorbito dal bagno, avrebbe potuto provocare rotture interne nel metallo. I Lingotti, ridotti a dischi dalla pressa da 12.000, forse la più potente al mondo, furono forgiati a semisfere, poi sottoposte alle verifiche meccaniche e infine a prove non distruttive.

Per l’esame  ai raggi  X e a quelli gamma l’ing. Marianeschi, usò come fonte di radiazione una sorgente di Radium della potenza di un solo Curie, prestata alla TERNI da una società di Firenze, che per la bassa potenza richiese un’esposizione di parecchie ore.  Per l’analisi agli ultrasuoni venne utilizzato un apparecchio Kelvin & Hughes, il primo tipo di flaw detector disponibile in Europa. La lavorazione meccanica fu  condotta con un tornio orizzontale di grosse dimensioni, munito di due torrette portautensili verticali, progettato dallo stesso ing. Flagiello, che permetteva d’operare contemporaneamente su entrambe le superfici delle calotte, interna ed esterna. Alla fine l’accoppiamento delle due semisfere, la cui precisione risultava decisiva per l’efficienza del batiscafo e la sicurezza dei passeggeri. Il controllo venne effettuato ispezionando tutta la circonferenza di congiunzione con una sonda d’oro dello spessore di 50 centesimi di millimetro, confezionata dall’orefice  Cavallari di Terni. Il batiscafo, impiegato nel programma di ricerca della Stazione Zoologica di Napoli e l’Università di Milano, era poi ceduto alla fine degli anni cinquanta alla Marina American e faceva da chioccia al progetto Nekton per l’esplorazione degli abissi marini. Il progresso scientifico e l’avvento della teleguida e della teleosservazione  l’hanno mandato in pensione.

Il batiscafo, a quanto si dice, dovrebbe riposare nel Museo di New York, mentre la cabina giace dimenticata in qualche angolo degli Stati Uniti d’America. Quella palla, che l’ing. Papuli definiva romanticamente  in un suo articolo di anni fa  “Una bolla d’acciaio negli abissi marini”, riportata in città darebbe spessore al sogno di una  Terni Capitale Europea della Archeologia Industriale. Intanto noi ne riproponiamo la storia,  prima che la patina del tempo ne cancelli il ricordo.

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