Il dramma della donna che per colpa delle bombe vide la bimba morirle tra le braccia

La passerella di Ponte Garibaldi

di LORENZO MANNI

Sui bombardamenti, da ragazzino, ho ascoltato i racconti di chi ci si trovò in mezzo, e che quel periodo terribile della storia di Terni l’ha vissuta. Girando “dentro” Terni le vedevo le macerie. Nei primi anni Cinquanta erano dappertutto: nei pressi della stazione, in piazza del Popolo, in via Roma , a Borgo Bovio. Le macerie e i segni degli spezzonamenti che erano impressi sulle facciate degli edifici. Le passerelle, al posto dei ponti crollati sotto le bombe, erano due, una in via del Cassero che dava modo di accedere a via Roma ed un’altra che portava verso via Garibaldi. Giravo per quella città con i segni della guerra, seduto di traverso sulla canna della bicicletta spinta da mio padre; ma quella vista non mi turbava più di tanto.

D’altra parte non avevo il ricordo di una situazione diversa, per me era “normale” la presenza di quelle rovine. A farmi impressione, a trasmettermi tristezza ed il sentore che comunque tutto quel che vedevo era legato a qualcosa di molto brutto furono altri tipi di conseguenze. Una sensazione che, decenni dopo, è collegata ad un ricordo ben preciso.

E’ il ricordo di una donna che molto spesso vedevo passare davanti casa mia, quella dove abito ancora, a San Valentino. Camminava lentamente, come andasse a passeggio, ma l’espressione del viso non era quella di chi dedicava un po’ di tempo a fare due passi rilassanti.

Era un’estate della alla metà degli anni Cinquanta.

Una donna non giovanissima, almeno tale appariva a me bambino. Elegante: gonna lunga fino ai piedi, forse rosa o forse gialla… Non ricordo con precisione, ma non era di un colore sgargiante; come di tonalità tenue era il colore della camicetta. Alla vita, invece, aveva un vistoso nastro rosso acceso, a mo’ di cintura. Essendo d’estate, indossava come copricapo un cappello di paglia anch’esso guarnito da un nastrino di colore rosso fermato con un piccolo fiocco sul davanti. Non abitava in quella zona e la si notava dato che non passava molta gente “forestiera” a piedi per via Antonelli che non era ancora asfaltata .

Stringeva in braccio una bambola vestita di bianco alla quale, sempre camminando, cantava continuamente una nenia a voce bassa, incurante della curiosità della gente e dell’ilarità di noi ragazzini.

Solo dopo averla incontrata tre o quattro volte chiesi a mia madre chi fosse e perché si comportasse in quel modo per me strano. Lei, mia madre, la quale probabilmente si era informata parlandone con le sue amiche, mi spiegò quale dramma avesse colpito quella donna.

Era una donna benestante che abitava “dentro Terni”. Durante uno dei bombardamenti mentre correva verso il rifugio con in braccio la sua bambina nata da poco, fu investita dallo spostamento d’aria provocato da un ordigno cadutole a poca distanza. La bambina, fragilissima per la tenera età, rimase uccisa.

Una tragedia che sconvolse la mente della donna: “Partì di testa”, mi spiegò mia madre. Al punto che dovettero ricoverarla in manicomio a Rieti. Ne era uscita dopo alcuni anni, affidata alle cure dei familiari. Non guarì mai. Il suo ragionare era segnato dal sentirsi la responsabile della morte della bambina per non aver fatto in tempo a raggiungere il rifugio antiaereo prima che cominciassero a cadere le bombe.

Dopo quell’estate non si è più vista. Non passò più dalle mie parti. Nessuno si chiese il motivo e nessuno lo ha mai conosciuto.

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