Il frate vende tre preziose tele della Madonna di Loreto

La cappelletta all'interno della chiesa della Madonna di Loreto a Spoleto
La cappelletta all’interno della chiesa della Madonna di Loreto a Spoleto

Quel frate cappuccino di Spoleto non era certo un’aquila. Uno che per quattro soldi si vende tre tele del Seicento, sicuramente non è un furbacchione, anche se le tele non sono le sue, ma si trovano nella chiesa della Madonna di Loreto, a Spoleto. La chiesa, ora Santuario, è quella che sorge alla fine del lungo portico dell’ospedale. Un luogo sacro, che ha avuto un’esistenza travagliata, tanto che chissà come mai quei tre dipinti s’erano salvati. Edificata nella seconda metà del XVI secolo su progetto dell’architetto fiorentino Annibale de’ Lippi, nel 1860 fu requisita dal goverso sabaudo e trasformata in caserma. Tale fu per più di sessant’anni, quando tornò in possesso della curia. Ma era destino che fosse “terra di conquista” di armati. Nel 1944 eccola usata come alloggiamento delle truppe alleate che stavano risalendo l’Italia. Finita la seconda guerra mondiale la chiesa restò in abbandono.
“Passaggi” non indolori. Ma qualcosa s’era salvato. Quel poco “ispirò” un frate cappuccino il quale pensò di trarne qualche vantaggio personale. Era un cappuccino di cinquantina d’anni che prestava assistenza, così come altri confratelli, in ospedale. Non si sa dove né come conobbe un antiquario perugino il quale, una parola tira l’altra, gli prospettò l’affare: in fondo quella roba era come stata buttata via, invece loro due potevano tirarci su un po’ di soldi. E così arrivò il momento in cui il cappuccino introdusse in chiesa l’antiquario. Le tre tele finirono così nel portabagagli dell’auto del perugino che, per sovrappiù, aggiunse un paliotto ed una cornice del ‘600. Lui l’aveva visto subito che i dipinti erano di valore. Certo, non lo disse al suo “compare” ma gli promise che mai si sarebbe permesso di non compensare con una giusta mancia l’amico che gli aveva aperto la porta della chiesa. La dimostrazione fu che gli consegnò lì, su due piedi, una “lauta” ricompensa. Ben quarantamila lire. Con quella cifra pagò un quadro di fattura scadente opera di un anonimo di scuola romana del Seicento, ma anche due dipinti di Giovanni Baglione, pittore romano del XVII secolo che si ispirava al Caravaggio: “L’adorazione dei magi” e la “Visitazione” che facevano parte di un serie di tre opere che in origine avevano sede nella cappelletta votiva dedicata alla Madonna di Loreto, attorno alla quale era stata costruita la chiesa.
Quella cappelletta, che si trovava appena fuori le mura cittadine di Spoleto, fu meta di venerazione e di pellegrinaggio, specie dopo che gli spoletini s’erano convinti che le immagini sacre in essa contenute avevano la virtù di liberare da Satana gli indemoniati. Alla cappelletta nel suo insieme si attribuiva anche la protezione della città dai frequenti terremoti. Un luogo del genere meritava un edificio sacro di ben altre dimensioni. E nacque la chiesa.
L’allarme per l’avvenuto furto fu dato il 17 febbraio 1950. Il frate, fu subito individuato. Raccontò tutto agli inquirenti che, una settimana dopo, trovarono la refurtiva a casa dell’antiquario, a Perugia in via dei Priori. “Che c’entro io?” domandò, ingenuo, l’antiquario. “Io ho solo comprato della roba da un frate, come se l’è procurata sono fatti suoi”. E riferì che aveva incontrato il frate per caso e che era stato proprio lui a proporgli l’affare. Lui, l’antiquario, non era nemmeno stato sfiorato dall’idea, fino a quel momento.
Fattostà che per il giovedì 15 febbraio, alle 20, s’erano dati appuntamento nella camera mortuaria dell’ospedale e da questa erano transitati in  chiesa. Prese le opere d’arte le aveva caricate nel bagagliaio della sua Fiat 1100 e se le era portate a Perugia.
Eh già, poveretto. Come poteva immaginare che quelle tele e tutto il resto non fossero di proprietà del cappuccino? Non gli credettero, però.

 

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