Raviso Civili, il “nocchiero” di Lugnano pioniere del volo

Lugnano in Teverina Raviso Civili

Un pioniere del volo immolatosi agli albori della storia dell’aviazione civile italiana e di cui praticamente nessuno si ricorderebbe più se qualcuno, forse i parenti, non avesse inteso a suo tempo celebrarne la memoria con una lapide. “Qui visse il sergente maggiore Raviso Civili…”. E’ posta sulla facciata color rosa di una vecchia casa a due piani lungo la strada in salita che porta al centro storico di Lugnano in Teverina. Si sa poco di lui, morto per essere precipitato col suo aereo il 12 novembre 1921. I giornali dell’epoca la notizia la confinarono in un articoletto di poche righe, in fondo alla pagina.
L’incidente avvenne a Roma, nella mattinata di quella fredda giornata: erano le 10 e 30 quando l’aereo, “un apparecchio Samel”, riferiva l’agenzia giornalistica,  decollò dall’aeroporto romano di Centocelle. Un campo d’aviazione ancor oggi in esercizio, che solo due anni dopo la disgrazia diventò un impianto a disposizione della Regia Aeronautica, appena costituita.
Il fatto fu che Raviso la passione per il volo ce l’aveva nel sangue. Aveva cominciato durante la prima guerra mondiale a volare. Avrà forse combattuto nei cieli anche se non ebbe scontro cruenti o almeno non ne ebbe così tanti da farne un asso famoso. Oppure il suo aereo fu utilizzato più che altro come ricognitore, cosa che accadeva nella maggior parte dei casi nel conflitto del ’15–’18.
Finita la guerra col grado di sergente maggiore, il giovane Raviso Civili non volle abbandonare il volo. Era felice quando si trovava lassù alla guida di un aereo e poteva guardare il mondo dall’alto. Pur restando un militare venne impiegato nella nascente aviazione civile. Campi d’aviazione e mezzi avevano ancora bisogno di molti interventi migliorativi e l’opera di collaudatori esperti come lui era preziosa.
Quella mattina aveva appena decollato. Con lui c’era il soldato montatore (si chiamava così, ma era in pratica un meccanico), Vincenzo Celso. L’aereo si staccò dalla pista polverosa di Centocelle e cominciò a salire: aveva raggiunto circa i cinquecento metri di altezza quando un’ala cedette staccandosi dalla fusoliera. L’areo precipitò come un sasso incendiandosi. Per i due uomini a bordo non ci fu scampo.

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