La chimica applicata per fare i “botti”

TERNI MIA

mANNI

di LORENZO MANNI

I botti erano di due tipi: con il carburo oppure con il potassio e lo zolfo. Un gioco che spesso organizzavamo da ragazzini era proprio quello di fare “i botti“, specialmente nelle giornate in prossimità delle festività natalizie .

Il carburo non mancava, lo andavamo a “razziare “ al casellante che ne aveva una buona scorta, in ballini, ammucchiati fuori di una baracca, ricoperti da una tettoia per proteggerli dalle intemperie. Il casello ferroviario, allora, era comandato a mano, una grossa manovella ed una serie di ingranaggi facevano alzare e abbassare le sbarre. Il casellante comandava anche le aperture e chiusure di due caselli, situati in vie meno frequentate, che erano a monte ed a valle di quello di via Antonelli. Il comando veniva trasferito con grossi cavi di acciaio che lo collegavano alle sbarre a distanza. Gli orari erano abbastanza precisi e l’ordine di chiusura veniva dato con il telefono. I treni che transitavano sulla ferrovia Terni Sulmona erano molto frequenti sia quelli con macchina a vapore (lu ciuffecciaffe) che trasportavano prevalentemente rape verso lo zuccherificio di Rieti e grossi tronchi di legno verso opifici sempre del reatino. Non si pensava all’inquinamento allora… anzi i bambini con la “tosse convulsa“ venivano portati nei pressi dei passaggi a livello per far loro respirare il vapore nerastro prodotto dalle caldaie delle motrici. I più gravi venivano portati dentro la galleria di Stroncone perché il vapore ristagnava più a lungo. Dicevano che era una mano santa.

E poi transitavano i treni passeggeri con la “littorina”. Erano principalmente utilizzati da giovani che venivano a studiare all’istituto industriale da Rieti e zone limitrofe. Il carburo era una dotazione che le ferrovie davano al casellante per alimentare la scintilena ,utilizzata per le segnalazioni notturne .

Si prendevano alcune manciate di carburo, poi occorreva un’attrezzatura specifica, dettata da esperienze dei più grandi Servivano: un barattolo con un foro sul fondo, una bottiglia d’acqua, una canna all’estremità della quale veniva applicata una pagina di giornale e i fiammiferi. Si faceva una buchetta in terra, si metteva il carburo dentro la buchetta che veniva poi ricoperta dal barattolo. Si cercava di sigillare al meglio il bordo del barattolo alla terra per non fare uscire gas. Si immetteva dal foro del barattolo un po’ d’acqua mentre si accendeva il giornale fissato alla canna, si attendeva qualche secondo per far fare reazione al carburo , si avvicinava la fiamma al barattolo tenendosi a distanza e… buumm, c’era il botto mentre il barattolo saltava in aria per cinque o sei metri.

Per l’altro sistema si usava una miscela di potassio e zolfo. Il potassio si acquistava in farmacia ed il farmacista non sempre era disposto a venderlo ai ragazzini. Così si accusavano mal di gola e abbassamento della voce ed il farmacista prima o poi faceva finta di crederci e cedeva. Si tritavano le pastiglie di potassio finemente e veniva aggiunto lo zolfo in uguale quantità. Lo zolfo non era difficile reperirlo in casa. Una piccola scorta si teneva sempre per vari motivi. Quasi tutti avevamo un piccolo pergolato di viti che serviva per fare ombra e per mangiare un po’ di uva in estate inoltrata. Lo zolfo veniva dato in primavera alle viti per preservarle dalle malattie . Inoltre lo zolfo, mischiato con l’olio di oliva costituiva un unguento a cui ricorrevano le persone che avevano qualche problema di pelle. Ritornando ai botti , un pizzico di miscela di potassio e zolfo veniva messo in mezzo a due sassi levigati. Poi si dava un calcio secco con il tacco al sasso superiore e lo sfregamento faceva fare reazione alla miscela , così avveniva il botto. Poi magari i tacchi si staccavano , non bastavano i ferretti a trattenerli. I ferretti erano delle sagome di ferro che venivano applicate nella suola e nei tacchi per risparmiare le scarpe dal consumo , eravamo nel primo dopoguerra…

Chi era più fortunato, agli occhi di noi ragazzini, aveva un bullone di grosse dimensioni, circa 25 o 30 millimetri di diametro. Si svitava il dado senza farlo uscire dalla vite, si metteva la miscela sopra e si riavvitava lentamente il dado facendo rimanere la miscela nella filettatura. Fatta questa operazione si scagliava per terra il bullone ed ecco il botto.

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