Luigi Corradi racconta la sua Africa

Non può certo lasciarti indifferente venire a sapere che un qualcosa che hai costruito tu è servito a salvare migliaia di vite umane. E Luigi Corradi, ingegnere, ternano, ora novantenne, non poteva non emozionarsi quando, attraverso internet, è venuto a sapere che il ponte da lui progettato qualche decina di anni fa e realizzato in Rwanda era diventato monumento nazionale. “Un ponte che non ho mai visto – racconta – perché quando c’erano i lavori andammo sì in Africa, ma lì, sul fiume Kagera, alle Rusumo Falls, non arrivammo mai”.

Non è mai tardi. Ed adesso era ora di andarci in quel luogo distante un centinaio di chilometri dalla frontiera tra il Rwanda e la Tanzania. A vedere “dal vivo” quel ponte. Dopo averlo pensato e costruito sulla carta, e dopo aver visto partire dall’Italia tutti “i pezzi” che lì, in Africa, furono poi messi in opera con non poche difficoltà. Un ponte che nacque per collegare via terra i porti di Mombasa e di Dar es Salam, il primo in Kenia il secondo in Tanganica. Un ponte a corsia unica, cento metri di luce era utile anche per togliere dall’isolamento i paesi dei “Grandi Laghi”: L’Uganda, il Burundi,il Rwanda.

Il ponte progettato da Corradi
Il ponte di Rusumo in Rwanda

Ma non per questo motivo il ponte è ora un monumento nazionale ruandese. E’ che grazie a quel ponte negli anni Novanta del secolo scoro, duecentomila Tutsi riuscirono a sfuggire alla mattanza da parte degli Hutu. Una guerra cruenta, selvaggia e crudele che vide un’etnia massacrata sotto gli occhi indifferenti delì’Onu.

Parte, quindi, Luigi Corradi. Vuole vederlo quel ponte: vaccinazioni, bagagli, biglietto aereo. Atterra in Kenia- Ma in Rwanda lo bloccano alla frontiera: non ha il visto d’ingresso. Torna indietro, ma ormai è fatta. Quel viaggio ha risvegliato i ricordi una esperienza professionale durata qualche anno e vissuta in Africa, alcuni prima della costruzione di quel ponte. Doveva raccontarla a qualcuno la “sua “Africa”. Per ribadire le colpe della comunità internazionale di fronte alle stragi; le responsabilità del colonialismo; l’insopportabilità di un razzismo esasperato.

Ne è nato un libro, un sorta di diario scritto sessant’anni dopo. Un romanzo- verità, quello di Corradi. Ricco di episodi. Di aneddoti, di esperienze di vita, di panorami belli da mozzare il fiato. E per lui anche una catarsi, per un fatto che allora negli anni 1950 era normale e spesso necessario, ma più di mezzo secolo dopo valutato in maniera diversa, prima di tutto da lui, Luigi Corradi che per aver sparato a due elefanti, oggi, si sente in colpa.

Luigi Corradi, “Ritorno in Uganda”. Ed. Morphema, Terni, 2017. Euro 15.

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