TERNI MIA
di LORENZO MANNI
C’era una volta un pino… che in realtà era un cipresso. Ma tutti lo definivano “pino”.
Si ergeva maestoso sulla strada della Macchia di Bussone ( oggi via Salaria), poco prima della “spianata”, di fronte al bivio di Collesecozza.
Unico, era alto più una decina di metri e dominava la situazione verso la valle ternana svettando sopra le querce di cui è contornata la zona. Con la sua punta sembrava pennellare il cielo terso nei giorni di tramontana e fino a pochi anni fa era anche un punto di riferimento fin quando non è stato abbattuto, forse perché rappresentava un pericolo per l’abitazione vicina e per la stessa viabilità.
Ora di quel pino è rimasto un piccolo cespuglio, rinato dal tronco tagliato, che sta a testimoniare caparbiamente quella presenza; passandogli davanti mi sono venuti in mente i racconti di mio nonno, legati al “pino”, ma anche mio nonno alla giornata del Primo Maggio.
Rifgerisce Dario Ottaviani nel suo libro “L’Ottocento a Terni”; “Il Primo Maggio a Terni fu festeggiato per la prima volta nel 1890. L’Assemblea dei rappresentanti di 20 associazioni operaie di Terni , considerando vantaggiosa alla classe lavoratrice la manifestazione del Primo maggio, invita tutti i sodalizi popalari di questa città a volersi riunire nelle proprie sedi la sera di quel giorno per emettere un voto di adesione alla grande festa del lavoro indetta l’anno scorso nel congresso di Parigi … “.
Già nel corso dei lavori della Prima Internazionale dei lavoratori di Ginevra del 1866 si avviò il processo per l’indizione della Festa del Lavoro ma nell’anno 1889 nella la Seconda Internazionale a Parigi ci fu la proclamazione del 1º maggio come Giornata internazionale dei lavoratori, in commemorazione degli avvenimenti di Haymarket Square di Chicago, divenuti simbolo dei lavoratori di tutto il mondo.
Mussolini, nell’ aprile del 1923, con un decreto-legge da lui proposto ed approvato dal Consiglio dei ministri, abolì la ricorrenza del Primo Maggio e l’accorpò alla festa ufficiale del fascismo, che coincideva con il “Natale di Roma” anticipando tutto al 21 aprile.
Negli anni successivi, a fascismo maturo, alcuni “sovversivi“ della zona (mio nonno era uno di questi) la notte del 30 aprile issavano la bandiera rossa sulla punta del pino perché i ternani la vedessero. Questo era un appuntamento con altre zone della città che in quella notte intendevano manifestare la propria avversità al regime. Per mettere la bandiera si servivano di due scale unite dalla legatura di una corda. Nel Borgo Garibaldi (San Valentino) le camicie nere erano ben organizzate anche per la presenza di un loro circolo e la mattina del Primo Maggio andavano sul posto per indagare e per togliere la bandiera. Nessuno sapeva nulla e neanche trovavano collaborazione per smontare la bandiera che rimaneva visibile per alcune ore. A volte, la sera del 30, il pino veniva vigilato da due camicie nere per evitare che la bandiera venisse posta e di solito , per quello che mi raccontava, non erano scelte fra le persone più scaltre. Erano conosciuti e con la scusa di offrire vino per dare un po’ di calore nella nottata da passare all’aperto, venivano distolti dal compito assegnato per dare via libera al montaggio della bandiera da parte dei più giovani ; se ne accorgevano al mattino successivo prendendo i rimproveri dei loro superiori.
Ho inteso raccontare questa piccola storia in un giorno in cui a molti di noi non è possibile partecipare alla Festa del Lavoro per i noti motivi della pandemia e soprattutto perché alcune storie, seppure piccole ed apparentemente insignificanti, siano conosciute o non dimenticate.
Le foto allegate riguardano la situazione attuale ed una composizione di quella di allora, come da me immaginata.
Buon Primo Maggio.