Narni, anarchico con la roncola ferisce tre guardie

“Anarchico? E’ la Questura di Terni che lo sostiene. Solo essa, e per questo non la smettono mai di crearmi problemi e difficoltà: è una vera e propria persecuzione quella dei poliziotti ternani nei miei confronti”. Si difese così un giovane anarchico narnese, Augusto Pancrazi, comparso nel novembre del 1890 davanti ai giudici della corte d’Assise di Cuneo.
E forse alla tesi di un certo accanimento ci aveva creduto la Cassazione, la quale aveva stabilito che per legittima suspicione, il processo si tenesse lontano dall’Umbria, attirandosi per questa scelta anche un serie di critiche, visto che il processo si tneva a settecento chilometri di distana dalla sua sede naturale.
L’accusa che pendeva sul capo del giovane “preteso anarchico”  non era da poco: triplice mancato omicidio. Era accaduto che una sera agenti di pubblica sicurezza s’erano presentati a casa sua a Narni per arrestarlo. Era l’ennesimo provvedimento che veniva messo in atto nei confronti di Augusto, sempre con la stessa accusa: quella di essere un seguace degli anarchici. Ad Augusto salì il sanghue agli occhi e reagì utilizzando una roncola, brandendo la quale si lanciò addosso ai tre agenti e ferendo il vice ispettore di polizia Francesco Gaeta e le due guardie. Il processo avrebbe dovuto celebrarsi davanti alla Corte d’Assise di Spoleto, sede naturale di giurisdizione, ma la Cassazione lo trasferì a Cuneo, a centinaia di chilometri di distanza.
La difesa del giovane narnese sostenne che quella sera Augusto reagì perché in stato di sovraeccitazione, ma non aveva alcuna intenzione di uccidere chicchessia. La sentenza fu per certi versi strana: Pancrazi fu ritenuto non colpevole in merito al ferimento del vice ispettore Gaeta, nonostante avesse ammesso di averlo colpito, ma considerato colpevole di lesione semplice ai danni delle due guardie. Da qui la condanna: sette anni e otto mesi di reclusione.

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