Orazio Nucula ambasciatore del viceré di Sicilia, porta al papa il bottino di guerra

Sembra sia stato un viaggio avventuroso e pericoloso quello affrontato da Orazio Nucula, che comunque si presentò il 18 febbraio del 1551 davanti al papa, ottemperando al compito “delicato” che gli era stato assegnato dal viceré di Sicilia, don Giovanni da Vega. Il viceré aveva ottenuto l’appoggio, non solo spirituale ma concreto, da parte del governo pontificio, nella guerra vittoriosa contro i turchi. Ragion per cui aveva desiderio di inviare buona parte del bottino di guerra in dono a Papa Giulio III. A svolgere tale compito così delicato incaricò in veste di Ambasciatore proprio Orazio Nucula, il quale faceva parte della Milizia di San Pietro “ed era famigliare dello stesso pontefice, e versato fin dalla gioventù nelle lettere”.
Nucula partì con una nave da Trapani: un viaggio tranquillo fino a quando non giunse nei pressi della foce del Tevere: all’improvvisò scoppiò una tempesta a causa della quale si rischiò il naufragio e comunque la nave dovette far rotta verso Gaeta, dove attraccò. Nucula restò a Gaeta per un paio di settimane dopo di che si decise di affrontare via terra il viaggio fino a Roma. L’ambasciatore del viceré di Sicilia, con i doni e il seguito, prese alloggio all’isola Tiberina. E il 18 febbraio ecco Nucula entrare nei palazzi del papa, in maniera ufficiale e sfarzosa, con un lungo corteo aperto da soldati che recavano il catenaccio delle carceri in cui erano stati rinchiusi i prigionieri cristiani; seguivano i cavalli arabi portati a mano da Sciti; quindi un gruppo di cani “esotici” legati con guinzagli di seta. Seguivano gabbie con leoni, casse di armi, abiti, arazzi e bandiere ed infine un gruppo di cavalieri dietro ai quali Orazio Nucula chiudeva il corteo.
Giulio III lo incontrò accompagnato da Michelangelo Spada “coppiere e cameriere segreto del papa”. Sua santità mostrò di gradire oltremodo i doni che gli erano stati portati e, per quanto riguarda il Nucula, per ingraziarlo, gli concesse il permesso di pubblicare gli scritti che il letterato ternano aveva redatto, in latino, sulla guerra. Il permesso di pubblicazione si accompagnava alla disposizione di vendita esclusiva per dieci anni, una prerogativa a difesa della quale il papa stabilì la pena di cento scudi e la scomunica per chiunque altro avesse avuto l’ardire di pubblicare l’opera. Nucula ebbe la stessa concessione dall’imperatore Carlo V e dal duca di Firenze, Cosimo de’ Medici.

Fonte: Elia Rossi Passavanti, “Terni nell’età moderna”,

ristampa anastatica a cura

di Vincenzo Pirro, Lit. Stella Terni 2002

/ 5
Grazie per aver votato!