“Dal greto del fiume” Francesco Pullia guarda alla vita

Quando, per recarmi in città, percorro una stradina laterale, mi imbatto spesso in comparse che, sudate, calate nelle loro tutine, praticano jogging o pedalano.′
Poco più in là, dagli argini di un canale parallelo, s’affacciano alberi cangianti nelle fasi del giorno. All’imbrunire le loro sagome paiono stagliarsi meglio, con le forme slanciate nell’ignoto, protese all’accettazione e all’ascolto di un inarrestabile fluire. Al loro cospetto, il fiume scorre, non corre, verso l’ineluttabilità di una foce, prosegue nell’addensarsi nel suo letto, di storia e di storie, di natura che nasce, sboccia o si dilegua, nel mormorio di acque pullulanti di vita.
“La vita, già, la vita. Penso agli affaticati podisti, teatranti nella superficie, e, in parallelo, mi si presenta innanzi il corpo smagrito di chi, molto avanti negli anni, intravede la fine”.
Quando l’uso delle parole diventa arte.
Eccolo, è lui. C’è tutto Francesco Pullia in queste poche frasi. Mette subito le carte in tavola in questo suo ritorno alla narrazione, dopo aver prodotto una serie di saggi e studi sui temi a lui cari. Gli stessi che tornano adesso, mentre si lascia andare a raccontare, prima di tutto sé stesso, ma parlando della vita, dell’essere vivente (si badi bene: non dell’uomo, che pure di quella categoria fa parte seppur non sempre con merito), della natura che sempre di trasforma, cambia, stupisce, ed è eterna. Principi sulla base dei quali ciascuno può indifferentemente definirsi ateo oppure credente.
E poi i sentimenti, l’amore, la mancanza costante degli affetti che per legge di natura gli sono venuti a mancare.
C’è tutto questo e di più nell’ultimo prodotto letterario (terminologia in questo caso non usata a sproposito), di Pullia:  “Dal Greto del Fiume”. Un volumetto che raccoglie una serie di racconti. Storie di vita vissuta, illustrata più che altro attraverso le sensazioni, il sentimento, il rifiuto dell’arroganza e della vacuità che ne è consorella, nella rappresentazione di una distesa di amore (la sua vita) su cui svettano pochi picchi montuosi; quegli amori che di Francesco Pullia hanno segnato, illuminato, corroborato l’esistenza.
Per il resto il libro va solo letto. Non è raccontabile, perché diventa impegnativo trovare le parole adatte ad illustrare le sensazioni e le riflessioni che quei racconti innescano nel lettore.
Con un’avvertenza: Francesco Pullia è davvero così. Quel che racconta, attraverso le situazioni è proprio lui, parte infinitesima della natura e perciò stesso caduco, ma immortale come tutti gli esseri.

Francesco Pullia, “Dal greto del fiume”. 
Mimesis Milano. PP. 210, euro 18.

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