Rosaro, la chiesa e il ricordo dell’orologio

Rosaro frazione di Acquasparta
Rosaro, la chiesa di San Lorenzo

“Guarda quel cerchio sul muro? ‘Na volta llì c’era l’orologio, quando mamma s’è sposata già non c’era più”. L’orologio di Rosaro? Chissà che fine avrà fatto. Stava sulla prima parete che ci si trova davanti non appena  si entra nel piccolo centro abitato, in collina, sopra la valle del torrente Naia: “Qui? Mah, saremo un’ottantina di abitanti”, dice la giovane signora mentre segue con la sguardo due bambini che si rincorrono sulla piazzetta del paese. Di domenica mattina, sedute su uno scalino all’ombra della chiesa di San Lorenzo, il patrono di Rosaro, ci sono solo tre o quattro donne di varia età. Dietro a loro due ragazzine mostrano l’una all’altra i messaggini sul telefono cellulare e ridacchiano: loro si capiscono al volo. E gli uomini? Hanno tutti qualcosa da fare, anche se è domenica mattina. “Qui chi lavora – dicono le donne –  lavora a Terni. Per il resto ci sono pensionati e disoccupati che campano con la pensione dei pensionati : genitori o nonni”. La crisi è dura per tutti ed arriva dappertutto
Rosaro, oggi frazione di Acquasparta, era “la fattoria dei principi, quelli che ci avevano il castello di Sismano e quello di Casigliano. ‘N sacco de robba, ci avevano… – spiegano – Più avanti, lungo questa strada, ci sta il castello di Casigliano; qui la fattoria e i magazzini. Tutto è ancora del principe, Corsini, Orsini… boh. Comunque loro, i principi, stanno a Firenze”. Via della Fattoria si chiama, a riprova, una delle due o tre stradette principali. Poi la piccola piazza dominata dalla chiesa di San Lorenzo che, dicono le guide, ha tre altari mentre il campanile è del XVIII secolo. “Si però è chiusa – dice la signora più giovane – e è pure mejo, che se uno entra c’è pericolo che qualche cosa gli casca in testa”.  Manco a dirlo, ci sarebbe bisogno di un bell’intervento di manutenzione. In effetti la porta, di un bell’alluminio anodizzato, è serrata. La piazzetta è dominata dalla parete di fianco della chiesa. Svettano due targhe: una recente  e bella grossa è in pratica l’insegna della scuola materna parrocchiale. L’altra è la lapide che ricorda i caduti del 1915–18: Rosaro perse tre dei suoi cittadini al fronte e nel 1921 – c’è la data – per celebrarne la memoria fu messa quella pietra, semplice, senza ghirigori, elmetti o baionette, vittorie più o meno alate: un ricordo semplice, ma ancora oggi nominato con un certo orgoglio. E’ anche il modo di sentirsi parte di uno stato, di una comunità. Anche se si abita in una piccola frazione, come Rosaro.
Che comunque un passato da raccontare ce l’ha. Rimangono ancora segni dell’antica fortificazione. Quello era un punto strategico per il controllo della via Ulpiana, la strada che collegava Todi alla Flaminia, vicino San Gemini, e da qui a Spoleto attraverso una strada dell’epoca Romana. Sorgere in punti strategici non sempre era buono: le fortificazioni non bastarono, nel caso di Rosaro, ad evitare qualche saccheggio e il passaggio da un signore all’altro: da Todi, a Ludovico Degli Atti, passando per la Camera Apostolica e poi infine ai Corsini.

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