Sante Possenti, una vita di disgrazie ed un figlio santo

lapide possenti

La casa sta, a Terni, in via dell’Arringo, proprio all’inizio venendo da piazza del Duomo. E’, come recita la scritta su una piccola targa di marmo, la casa in cui visse e morì Sante Possenti, padre di San Gabriele dell’Addolorata, il santo protettore dell’Abruzzo e degli studenti.
San Gabriele, al secolo Francesco Possenti, era, infatti, l’undicesimo figlio di Sante, appartenente a un’antica famiglia ternana. Sante nacque a Terni nel 1791. Nel 1816, giovane dottore in legge laureato all’università di Roma, entrò nell’amministrazione dello Stato Pontificio, nominato “governatore” di Camerino. Di grandi qualità e preparazione non era uno che scoppiava di salute, tanto è vero che, in seguito, chiese spesso di essere trasferito alla ricerca di un clima che meglio si adattasse alle sue condizioni. Nel 1823, a 32 anni, sposò Agnese Frisciotti, una giovane di Civitanova Marche che gli dette tredici figli.
Francesco fu l’undicesimo. Venne alla luce il primo marzo 1838 ad Assisi, dove Sante con tutta la famiglia si era trasferito con tutta la famiglia l’anno prima come governatore della città per conto del Papa. Checchino – così chiamavano in famiglia il piccolo che sarebbe diventato San Gabriele – fu dato a balia. La signora Agnese non aveva le energie sufficienti per allattare il piccolo che rimase così per un anno lontano dalla famiglia. Quando vi tornò “svezzato” sua madre era di nuovo incinta di una bambina, Rosa. La piccola nacque piuttosto gracilina e mal messa in salute. Morì che aveva appena sei mesi.
Sante Possenti cadde in preda alla depressione: la famiglia era numerosa, lo stipendio di funzionario pontificio non era sufficiente. Per di più si sentiva poco appoggiato dai vertici del governo papale, che, nel 1841 lo trasferì, come governatore, a Montalto Marche, vicino Ascoli Piceno. Da qui a Poggio Mirteto, un luogo da cui chiese subito di essere mandato via per le solite questioni di salute. Sia lui che Agnese non se la passavano bene: «Colpa della troppa umidità», sostenne. Ma prima che i suoi desideri potessero essere assecondati, Agnese s’ammalò di leucemia e in breve tempo morì.
Era il febbraio del 1842. Sante a quel punto decise di rientrare a Terni, da solo, mentre la famiglia restava a Poggio Mirteto: aveva bisogno di riposo. Il governo pontificio non poteva continuare a corrispondergli lo stipendio senza che fosse impiegato in qualche incarico. E così gli fu offerto un posto di assessore a Spoleto, incarico ben più prestigioso, anche se lo stipendio rimaneva basso.
Sante accettò e si trasferì chiamando a sé la famiglia. Le disgrazie, le amarezze cocenti non erano ancora finite. La sfortuna continuava a perseguitare la sua famiglia: nel 1946 morì il primogenito, Paolo, ucciso in battaglia nel corso della prima guerra d’Indipendenza. Nel 1853 un altro figlio, Lorenzo, si tolse la vita. Altri due figli erano morti appena nati.
Una vita difficile, quella di Sante, che trovò conforto nella fede e in Checchino: una benedizione quel giovane brillante, allegro, che vivacizzava con la sua presenza l’intera giornata. Per lui Sante pensava a una grande carriera come uomo di legge. E per questo provò in ogni maniera a convincerlo affinché studiasse legge. Invano. Checchino decise di entrare nel convento dei Passionisti. Alla fine, a Sante, sarebbe stato bene anche che Francesco scegliesse la carriera ecclesiastica, cosa che poteva comunque assicurargli un futuro brillante.
Nemmeno questo. La vocazione di Francesco era profonda e radicata. Ebbe però vita breve, anche Checchino, ormai diventato, da monaco, Gabriele dell’Addolorata. Morì il 27 febbraio del 1862, a 24 anni.
Sante chiuse i suoi giorni dieci anni dopo, a Terni, nella vecchia, piccola casa, di via dell’Arringo. Là dove, oggi, una targa posta degli ex oratoriani lo ricorda.
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