Spoleto, così nacque il Festival dei due Mondi

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Luchino Visconti col basso Chapman e il soprano Skakeh Vartenissian

“Dal 5 al 29 giugno, Festival di Spoleto, spettacoli lirici, di prosa, balletti, concerti, mostre di arte figurativa, retrospettiva cinematografica”. E’ il testo di un’inserzione pubblicitaria che uscì sui principali quotidiani italiani, a più riprese tra la fine di maggio e i primi di giugno del 1958.  Nel giro di un paio di anni quella pubblicità sarebbe diventata superflua, ma per la prima edizione del subito ribattezzato “Festival dei Due Mpondi” era utile.
L’idea, ormai si sa, sarebbe stata vincente, ma quando si comincia non è mai facile: servono tenacia, coraggio, inventiva e ovviamente una grande preparazione specifica.
A cominciare il tutto fu Giancarlo Menotti, musicista e compositore, nativo di Varese, ma americano d’adozione. L’idea era di organizzare in Italia un festival culturale che fosse il “contenitore ideale” di diversi generi artistici: dalla musica al teatro, dalla danza alla letteratura, dalla pittura al cinema. Mettendo insieme artisti di fama mondiale ed emergenti. Lo scopo era, in ogni modo, dar vita ad una manifestazione di altissima qualità che non fosse destinato ad una élite ristretta, ma al grande pubblico.
Giancarlo Menotti pensò ad una città di piccole dimensioni che però fosse abbastanza vicina a città molto più grandi. Come Roma e Firenze, prima di tutto, ritenute i due principali poli di attrazione artistica e culturale. Una città che fosse facilmente raggiungibile, lontana dal turismo di massa, con una struttura urbana che potesse fondersi con gli eventi artistici che si aveva in animo di proporre. Diventarne parte, in sostanza.
Spoleto, era per Menotti la città ideale. E Spoleto aderì all’idea, con coraggio da parte degli amministratori di allora, ma anche con una buona dose di ottimismo. Ma anche negli Stati Uniti l’iniziativa fu seguita con interesse.festival spoleto pubnblicitò
E la sera del 5 giugno 1958, fu quella dell’inaugurazione ufficiale del festival di Spoleto. Alla presenza di un pubblico elegantissimo – riferirono le cronache – proveniente da tutta Italia “e anche dagli Stati Uniti”. Tra gli altri: l’ambasciatore statunitense Zellerbach e quello venezuelano Revenga (e rispettive signore), il direttore generale del Ministero dello Spettacolo, Pirro, il prefetto Di Giovanni, la contessa Wally Toscanini, il conte e la contessa Volpi di Misurata, il principe Boncompagni, il principe Colonna, il conte Rudy Crespi, la duchessa Acquarone, gli eredi di Giuseppe Verdi, “impresari, artisti, oltre cento critici dei principali giornali del mondo”. C’era la Repubblica, ma il jet set era rappresentanto da tali personaggi di antica nobiltà.
D’altra parte quello annunciato era un evento:  si rappresentava il Macbeth di Giuseppe Verdi, con Thomas Shippers quale direttore d’orchestra e Luchino Visconti regista, e con i costumi di Piero Tosi.
Il Comune di Spoleto, per parte sua, s’industriò per allestire manifestazioni, per così dire, di contorno. A parte la serie di ristrutturazioni (tra l’altro fu necessario recuperare due teatri) chi si recò a Spoleto per il Macbeth trovò una via dei Duchi, cuore del centro storico, riportata allo splendore medievale, con tutta una serie di botteghe d’epoca riaperte nell’occasione. Botteghe che conservavano i banconi di pietra di secoli prima e che mettevano in mostra opere di fine artigianato, alta moda, antiquariato, ceramica d’arte, antichità librarie, ricamo.

 

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