Stresa: annegato noto avvocato perugino in vacanza

Stresa e il lago Maggiore: per lui,  giovane avvocato perugino, quella era la vacanza da sogno. Nel 1914 quella era la destinazione à la page. Il lido, il Kursaal e le sue grandi manifestazioni culturali e gli spettacoli; il casino; il lago.  Proprio quella mattina, il 19 luglio 1914, aveva inviato un telegramma alla madre a Perugia. Le comunicava che stava benissimo lì, che era entusiasta.

Il lago Maggiore tanto vagheggiato divenne invece la sua tomba. Vi annegò, proprio quel pomeriggio. Una gita in barca trasformatasi in tragedia. Carlo Coen era un giovane in carriera: da Perugia s’era trasferito a Milano da un po’ di tempo: era stato assunto in un famoso studio milanese per incarico del quale si occupava delle faccende legali del Corriere della Sera.

Stresa porto
Il porto di Stresa

In vacanza con lui c’era alcuni colleghi ed amici. Insieme ad uno di loro, Luigi Bontempini, anch’egli giovane avvocato decise di fare una gita in barca. Noleggiarono un “sandolino”, a remi. E partirono verso il largo. Carlo Coen era ai remi. Percorsi circa duecento metri, videro che dal porto era uscito il piroscafo “Genova”, il quale assicurava il collegamento Stresa-Isola Bella. Erano proprio sulla rotta della nave, dovevano spostarsi alla svelta. Carlo Coen pensò di affidare i remi al collega, più forte e più pratico di lui. Per farlo si alzò in piedi, ma inciampò e cadde in avanti, scaricando tutto il suo peso sul bordo del sandolino che si rovesciò. Non sapeva nuotare Carlo Coen. Luigi Bontempini si aggrappò alla prua della barca rovesciata, lui preso dal panico, gli si avvinghiò alla vita. Non resse il peso, Bontempini, e la presa gli sfuggì. Affondarono. “Poi- raccontò Bontempini che riuscì a salvarsi – non so se nell’istante terribile che mi diminuiva la luce verso l’abisso, un improvviso svenimento od un impulso di generosità m’abbia svincolato dall’abbraccio mortale”. Così, continuò, “potetti risalire in superficie e raggiungere il sandolino capovolto”. Lui sapeva nuotare.

Ci furono accuse nei confronti del comandante del piroscafo che non s’era fermato – dissero – per dare un aiuto, ma lui, Giuseppe Tedeschi, le respinse: “Quando ci siamo resi conto di quel che accadeva eravamo duecento metri oltre la barca. Siamo tornati indietro, ma nel frattempo erano arrivate alcune barche per prestare soccorso e noi, lì, non potevamo manovrare se a rischio di affondare qualcuno tra i soccorritori”. Un’inchiesta promossa dalla compagnia di navigazione gli dette ragione.

Nonostante le ricerche cui partecipò anche una torpediniera della Guardia di Finanza, il copro di Carlo Coen non fu  ritrovato.

 

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