Sulla Somma la bella locandiera rubò il cuore a Casanova

«Cenammo a Somma, dove la padrona dell’albergo del luogo, donna di rara bellezza, ci preparò dell’ottimo cibo che innaffiammo con del vino di Cipro che le davano i suoi corrieri veneziani in cambio degli eccellenti tartufi che lei forniva loro… Partii lasciando un pezzo del mio cuore a quell’ottima donna».

Buoi in ausilio ai cavalli per trainare le carrozze sulla ripida, faticosa salita per il valico della Somma
Buoi in ausilio ai cavalli per trainare le carrozze sulla ripida salita della Somma

Una “memoria” lasciata scritta da un gentiluomo del XVIII secolo il cui carattere e modo di vivere traspaiono con evidenza: belle donne, cibi e vini sofisticati, viaggi. Una specie di Casanova? No, no: di più. Era proprio lui che cenò dalla bella locandiera, e lasciò per i posteri le frasi che magnificavano una notte passata al valico della Somma.
Casanova percorreva la Flaminia diretto a Roma. Un itinerario frequentatissimo, ai tempi. Lo stesso che era un classico del “Gran Tour”, del viaggio che d’uso per poeti, letterati, musicisti, artisti di ogni genere che dall’Europa centro settentrionale scendevano in Italia ad incontrare la cultura, l’arte, la bellezza.
La Flaminia non presentava, in Umbria, grandi difficoltà. L’eccezione era il valico della Somma. Un tratto aspro e difficile da percorrere per i viaggiatori da qualunque versante la strada si prendesse: sia che da Spoleto si procedesse verso Terni, sia che da qui ci si dirigesse verso Spoleto. Quello è il punto più alto della Flaminia in Umbria: la strada, al giorno d’oggi, lo supera attraversando una breve galleria posta a 646 metri sul livello del mare (la cima è a 670). Ma il percorso, oggi, è “uno zuccherino” rispetto a due o tre secoli fa.
L’ascesa della Somma metteva pensiero e sembra affaticasse particolarmente i viaggiatori, anche quelli che la percorrevano seduti in carrozza. Ad esempio: Maffeo Barberini, che poi fu papa Urbano VIII, quando era arcivescovo di Spoleto (dal 1608 al 1610) compiva frequentemente viaggi a Roma. Spesso, quindi, doveva affrontare la salita e la discesa della Somma. Ogni volta si fermava a riposare: o appena percorso il tratto difficile della Flaminia se veniva da Spoleto, o prima di affrontarlo se tornava da Roma. Si fermava a Strettura, ad una stazione di posta ancor oggi esistente e nota come “Palazzo del papa”.
Terni, Strettura, Valico della Somma, Spoleto e via di seguito: le stazioni di posta lungo il diverticolo orientale della Flaminia erano numerose ed anche per questo il diverticolo occidentale (Narni, San Gemini, Massa Martana) cadde in disuso. Era una strada più “comoda” quella per Spoleto. Unica difficoltà, appunto, la Somma. Ma che difficoltà! La salita era talmente ripida che era necessario attaccare alle carrozze, insieme ai cavalli, anche un paio di buoi. Racconta lo storico Ferdinand Gregorovius: «Dopo Terni si valica l’Appennino, o meglio quel monte che si chiama Somma. La strada molto buona giunge fino alla cima salendo gradatamente a traverso una gola,detta La Strettura». Gregorovius percorse la Flaminia in tempi relativamente recenti – la metà dell’Ottocento – ma la situazione non era cambiata nei secoli. Lo storico medievalista tedesco andava da Terni a Foligno, ed ha raccontato con dovizia di particolari – è una sua specificità – i paesaggi, lasciando una preziosa descrizione della Somma e di quel disagiato tratto della Flaminia:. «I due versanti- ha scritto tra l’altro – sono ricchi di boschi; non si vedono paesi, solo qualche casolare qua e là. Due magnifici buoi bianchi dell’Appennino, sono stati aggiunti per rinforzo alla mia carrozza e poiché si procede molto lentamente ne approfitto per camminare a piedi, il che è un vero godimento in questa regione. L’aria era fresca ed elastica». Per Gregorovius fu conveniente farsela a piedi, insomma. «Finalmente raggiungemmo la cima del Somma, dove i buoi furono staccati», continua il racconto. Ed in cima c’era il ristoro. I cavalli si riposavano, i buoi ed il loro conducente tornavano a valle. Per Gregorovius ci fu la locanda. Anche se, un secolo dopo, non vi trovò – certo – la stessa “padrona di rara bellezza”, la bella locandiera che aveva rubato il cuore a Giacomo Casanova.
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