Talegalli, contabile alla “Terni” e attore con Totò

Alberto Talegalli e Totò
Alberto Talegalli con Totò nel film “Chi si ferma è perduto”

«So di non essere un grande attore, ma so che posso contare su un vasto pubblico che mi vuole bene. E’ questo che mi rende felice».
Caparbio, Alberto Talegalli di Spoleto, proprio l’attore, fece. Ci riuscì a quasi quarant’anni, quando esordì alla radio in “Rosso e nero”, un programma di Corrado. Era la primavera del 1952. Arrivarono il successo e la popolarità. Nel 1961, quando morì in un incidente stradale, aveva preso parte a duemila trasmissioni radiofoniche; in Tv aveva fatto parte del cast di programmi popolari come Canzonissima e l’Amico del Giaguaro, che tenevano incollate al piccolo schermo intere famiglie. Aveva recitato in teatro con Garinei e Giovannini ed aveva girato una quarantina di film con Totò, Aldo Fabrizi, Peppino De Filippo, Mario e Memmo Carotenuto…
L’incidente stradale avvenne all’alba di una domenica d’estate. Erano le 4 e 40 del 10 luglio 1961 quando la Fiat 1100 “Tv” (che stava per Turismo Veloce) dell’attore si schiantò contro la spalletta di un ponte in località Categgi, alle porte di Gualdo Tadino. Tre morti. Talegalli, Alberto Discepoli, commerciante spoletino di 54 anni, amico da sempre dell’attore, che era al volante; e Linda Mancini una ragazzina di 12 anni, figlia di Bernardino, altro amico di Talegalli, gestore a Spoleto dell’albergo Centrale. Bernardino Mancini era il quarto occupante della 1100. Fu l’unico superstite, seppur gravemente ferito.
Tornavano a Spoleto da Faenza. Talegalli aveva partecipato a uno spettacolo. Erano partiti all’1 e 30. Poco prima dell’incidente, a Osteria del Gatto, s’erano fermati al bar di un distributore e l’autista aveva preso un caffè e si era rinfrescato il viso. Da qui l’ipotesi del colpo di sonno come causa della tragedia, anche se circolò pure la versione che vedeva coinvolta una Giulietta bianca che avrebbe afrrontato quella curva contromano. Ma non si trovarono conferme.
Era comunque un incidente da prima pagina. A Gualdo Tadino arrivarono inviati di tutte le principali testate italiane. Per tutti era morto il “Sor Clemente”, il personaggio con cui Talegalli sfondò e che accompagnò l’attore spoletino standogli appiccicato come un francobollo. Perché il tratto essenziale di Talegalli era quel suo esprimersi in un dialetto che stava a mezzo tra la lingua italiana e lo spoletino. Una “parlata” che era tutta e solo sua, e che lui trasferì al “Sor Clemente”. Suoi erano tutti i testi, scritti negli anni in cui cercava di farsi largo.
Nato a Spoleto il 2 ottobre 1913, aveva fatto il venditore di salumi, il falegname, poi il contabile alla “Terni”, prima alle acciaierie, poi alle miniere di lignite di Morgnano. Per avvicinarsi a Roma e “piantonare” il mondo dello spettacolo era riuscito a farsi trasferire al Ministero delle Finanze. Ogni decisione la prendeva per rincorrere con tenacia il suo sogno: far l’attore professionista. Dopo aver recitato nelle filodrammatiche di paese, nella compagnia del dopolavoro delle acciaierie e, prima ancora, aver rappresentato i suoi personaggi davanti ai commilitoni mentre era in guerra in Africa.
E il suo momento arrivò: prima alla radio con “Rosso e nero” ed un successo tale per cui ad un certo punto venne trasmesso, con cadenza settimanale, il “Talegalli show”, alla maniera dei comici americani. Poi la rivista, col personaggio del poliziotto che entrando in scena escalamava burbero: «L’assassino arzi la mano e dicrini le probbie generalità». E la televisione. Canzonissima col trio Alberto Lionello, Lauretta Masiero e Aroldo Tieri e l’Amico del Giaguaro con Raffaele Pisu, Gino Bramieri e Marisa Del Frate. E il cinema. Tanti film. Le commedie dell’epoca, quelle che raccontavano di vacanze e bikini, i “cinepanettoni” degli anni Cinquanta. «Un attore efficacissimo nel suo genere», disse di lui Sandro Giovannini, della “ditta” Garinei e Giovannini. «Un tipo semplice con umorismo tutto suo che investiva tutti i lati della vita quotidiana», fu il commento di Nino Manfredi. Appunto: un umorista, non un comico. Perché il Sor Clemente non è un personaggio banale: è un contadino umbro dal cervello fino che nonostante l’ingenuità è capace di osservare e commentare, con una dose di buon senso, tutto ciò che succede in un mondo che stava cambiando velocemente, mentre si avviava il boom economico degli anni Sessanta. E c’è di più: mediante il Sor Clemente e Alberto Talegalli anche l’Umbria ha un’occasione in più. Ha scritto Enrico Vaime: «Io mi sentivo ingenuamente orgoglioso perché la gente, grazie a Gerza e allo zio ‘Ngilinu, si accorgeva che c’eravamo anche noi, che l’Umbria esisteva».
Gerza, la moglie cerbero, zi ‘Ngilinu, lo zio filosofo e disincantato; Sghimirru, Nibeletto, Coiermone, Chicchina e Filoderfo, don Lipordo e il “povero maestro mio Traconetti”. Sono i personaggi che affiancano sor Clemente nelle sue storie. Sor Clemente che deve sempre subire le angherie della moglie. Tanto da spingersi – addirittura – a inventare il partito UMSAR, “breviazione” dell’Unione Mariti Strapazzati Alla Riscossa: un “Partito di politica cogniucale, casereccio, con risurdati sulutissimi di tornaconto col sopravvento scrusivo dell’omo su la femmina”.
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