Il giorno successivo maggiori particolari furono forniti dal Popolo di Roma: dopo il banchetto di socialisti e repubblicani, che s’era tenuto fuori città nel bosco delle Grazie, “la comitiva stava rientrando a Terni”, quando, a Ponte Garibaldi, a causa delle grida sediziose la forza pubblica intimò lo scioglimento del gruppo. Da lì lo scontro “nel quale rimase gravemente ferito il brigadiere dei carabinieri Pesaresi. Contro la truppa chiamata a dar man forte furono lanciati sassi dai quali rimasero feriti il capitano del 10. Fanteria, Cossiga, il capitano dei carabinieri Codignola e alcuni delegati”.
I “fatti di Terni”, meno gravi di quanto si credeva, furono usati per invocare leggi repressive più dure visto che, spiegava il Popolo di Roma, “agenti e militari di truppa soltanto sembra siano stati esposti a pericolo di vita, mentre i rivoltosi sanno anticipatamente che non verrà loro torto un capello”.
In Parlamento Francesco Crispi capo del governo e ministro degli Interni fornì la versione ufficiale e maggiormente aderente alla realtà: “Qualcuno aveva bevuto un po’ troppo – disse in sostanza – si procedette ad un arresto ma nessuno se ne accorse, ma poi un brigadiere fu accoltellato ed allora scoppiò il parapiglia con le forze dell’ordine che non avevano – rispondeva alle critiche – fucili con proiettili a salve, ma a palla”. Anche tra gli operai c’erano diversi feriti solo che, temendo l’arresto, evitarono le cure dell’ospedale.