Già nel 1554, vent’anni dopo la fondazione della Compagnia principalmente a iniziativa da parte di Sant’Ignazio di Loyola, aveva espresso il desiderio di avere “ Un colleggio di padri Giesuiti, quali istruissero li putti nel santo timore d’Iddio, e bone creanze, e lì insegnassero Grammatica, Humanità, Logica, Filosofia et altre scientie” che, si sosteneva, sono “tanto necessarie al mantenimento e ben vivere della città”. Ovviamente i padri Gesuiti avrebbero dovuto svolgere anche “fontioni di confessioni, letture di casi di conscientia, e prediche, et assistenza all’infermi morienti”.
Fu Orazio Nucula a scrivere al Beato Ignazio, offrendo 500 scudi annui per il mantenimento del collegio. La risposta fu, più o meno, che la proposta sarebbe stata tenuta presente, ma in quel momento erano troppo pochi i componenti della Compagnia per poter allargare la sfera delle attività. Nel 1596, Terni ritornò alla carica, offrendo nuovamente i cinquecento scudi: cento provenienti dal “sopravanzo dell’entrate della comunità”, cento sarebbero stati versati dalla confraternita di San Nicandro, cento dal Monte di Pietà, cui andavano aggiunte la provvigione che si era soliti versare al maestro di scuola, ed il resto sarebbe stato percepito dal collegio attraverso la pigione che si sarebbe ottenuta dall’uso delle stanze della scuola.
Si dovette arrivare al 1620 per dare il via all’attuazione del progetto, quando si nominò una commissione di cittadini che avviò l’iter, partendo da una richiesta essenziale riguardante le materie d’insegnamento che dovevano essere, la grammatica, l’Umanità, la retorica, la Logica, e quindi Fisica, Metafisica, Teologia, Morale e matematica.
Il collegio, però, andò in difficoltà nel momento in cui la Compagnia di Gesù fu soppressa.
Ma nel 1814, c’era stata la decisione di Pio VII, per cui la comunità ternana si mise subito in moto, riunendosi, per giungere urgentemente a una decisione, il 20 di agosto. La richiesta era supportata – si rilevava – anche perché nel collegio di Terni si erano formati due “esemplarissimi e dotti ecclesiastici”, Don Giuseppe e il canonico Mariano Petrucci. I quali, non appena istituita di nuovo la Compagnia, tornarono immediatamente a indossare gli abiti talari e a dire addio ai loro familiari. Erano ormai anziani, però, ma anche per questo era giusto accogliere la richiesta di riapertura del collegio di Terni.