“Trillurì Trillurà” il dialetto eccolo qua

Enzo Mattesini, un’autorità tra gli studiosi della linguistica e della dialettologia, lo ha definito un “archeologo della parola”. Lui, Flavio Frontini, molto più “prosaicamente” si definisce il “maggiore studioso vivente del dialetto ternano”. E lo dice con la sua solita espressione, quella di chi un po’ ci crede e un po’ ci fa.

Frontini (Foto di ANGELO PAPA) DIALETTO
Flavio Frontini (Foto di ANGELO PAPA)

Che sia un “archeologo” del dialetto ternano (e del circondario) è comunque incontrovertibile: perché va ricercando parole, sì, ma soprattutto detti e proverbi. Già, anni addietro ne pubblicò parecchi nel suo “Trilluri’Trillurì”, ora si supera nel suo ultimo libro che, essendo un ideale seguito del primo, si intitola “Trillurì, Trillurà”. “Devo confessare – dice Frontini – che le mie origini sono marchigiane, ma ho vissuto tutta la vita a Terni, sono ternano quindi”. E questa fissazione per il dialetto? “Fui iniziato da un grande davvero, Manlio Farinacci, che mi fece conoscere e apprezzare il dialetto ternano e stuzzicò la mia curiosità”. E avviò la ricerca: la singola parola andata a cercare nei racconti o nei proverbi che la gente tramanda, e che poi è studiata, sviscerata, ricostruita nella sua etimologia, e come ultimo atto divulgata e lasciata come ricordo indelebile in un libro. Con la consapevolezza che se una lingua comune fà una Nazione, così il dialetto unisce i membri di una comunità, fornisce loro un’identità comune.

Diventa, oltre che curioso istruttivo andarli a leggere quei duemila proverbi che Frontini nelle 170 pagine di “Trllurì, Trillurà”, divide per materia in dieci capitoli più uno: proverbi che hanno per tema la natura, i rapporti uomo-donna, il potere, la proprietà, vizi e virtù e via dicendo fino a giungere alla “misticanza”. Il capitolo “Più uno” è invece quello riservato ai proverbi osceni, confinati alla fine del libro, come si fa nei palinsesti Tv che trasmette i programmi più “delicati” nelle ore in cui “i bambini sono tutti a nanna”. Peccato, però, che un libro si possa cominciare a leggere anche dalla fine.

Un’avvertenza: “Trillurì, Trillurà” è un’opera che va oltre l’archeologia linguistico-dialettale. E’ infatti anche il mezzo per conoscere una società in divenire –lu tramve non poteva far parte dei discorsi che si facevano nelle campagne, nei salotti o nelle bettole ternane nel 1700- segnando alcuni punti fermi della storia di una piccola comunità accresciutasi all’improvviso, che variò il proprio dialetto in accoglienza di espressioni di gente che proveniva da altre regioni o dalla Francia. Insomma un tassello della storia ternana esaminata attraverso la lingua parlata, ogni giorno impercettibilmente diversa rispetto al giorno prima.

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