Uno schiaffone all’amico Maggiore e finisce in duello

La fabbrica d'armi di Terni
Bastò un “niente” e un’amicizia granitica si trasformò in un rapporto così turbolento da richiedere l’intervento del Tribunale militare. Ingiurie, lettere denigratorie e calunniose, schiaffoni a mano piena, un duello alla spada. E pensare che solo poche settimane prima, il Natale del 1907, i due ufficiali in servizio alla Fabbrica d’Armi di Terni, erano come due fratelli. Il primo, il capitano Zironi, vantava un passato di militare, specchiato da elogi, promozioni ed attestati di grande competenza tecnica. L’altro, il maggiore Paolucci, era il rampollo di una famiglia di nobili e uomini d’arme.
Mesi e mesi di assidua frequentazione, anche durante il periodo in cui il maggiore era stato temporaneamente trasferito a Roma. Spesso tornava a Terni ed andava a casa del capitano. Ma un giorno, fu messo – con poco garbo – alla porta. La faccenda gli era rimase sul gargarozzo. Lui, il marchese Paolucci, buttato sul marciapiede da un sottoposto. Lui che anche quella volta era partito da Roma solo ed escusivamente per fargli visita! Lui, che c’era rimasto molto male quando, qualche giorno prima, s’era visto tornare al mittente un regalo «con musica”»(?) che per «captatio benevolentiae» aveva inviato alla signora Zironi per le feste di Natale. Lui che «per quella famiglia», raccontava al circolo ufficiali, aveva «speso ben ventimila lire».
Ventimila lire: una bella sommetta, sussurrava a qualcuno lo stesso maggiore – ma non era l’unico a dirlo – che si poteva ritrovare indosso alla signora trasformata in abiti e qualche gioiello che no, nessuno aveva rispedito al mittente. E non finì lì.
Prendiamo il caso di un povero marito che si vede recapitare, una al giorno e per parecchi giorni, un pacco di cartoline anonime con frasi calunniose. Ha il dirito, quell’uomo, di innervosirsi di brutto, pure se è militare? Il capitano decise che sì, ne aveva tutto il diritto. Così, saputo che l’ex amico era a Terni al circolo ufficiali a farsi una partita a carte, furente, andò a cercarlo, lo insultò e al primo accenno di reazione gli affibbiò uno “schiaffone wagon lit”, di quelli, cioè, che fanno sì che il destinatario s’addormenti mentre finisce lungo, per terra.
«Lei deve mettere a tacere i tanti pettegolezzi che girano in città», disse perentorio e da uomo di mondo, il colonnello comandante della Fabbrica d’Armi al maggiore Paolucci. «E così, io che volevo passarci sopra – riferì ai giudici il marchese Paolucci – fui costretto a chieder conto al mio sottoposto». Lo sfidò a duello.
Che del tormentato rapporto tra i due ufficiali si parlava – e parecchio – in quella che era una piccola città di provincia fu dimostrato al momento del duello. Nonostante l’ora antelucana, nonostante il luogo appartato, all’appuntamento c’era una vera e propria folla. «Il capitano mi aggredì subito con una violenza inaudita – continuò in Tribunale il maggiore – io mi limitavo a parare i colpi. Ad un certo punto il mio contendente cadde ferito. Ma vedere il mio ex amico fraterno sanguinante mi addolorò a tal punto che venni preso dalle convulsioni».
Il duello finì lì. Col maggiore “disturbato” e col capitano ferito e mazziato, perché poi fu denunciato per insubordinazione e dovette comparire davanti ai giudici del Tribunale militare. E che diamine, anche lui… se l’era cercata. Non sapeva forse che il marchese era il suo comandante? Avrebbe anche potuto essere meno burbero e scostante. «Al circolo – cercò di giustificarsi l’imputato – ero andato per parlare con alcuni amici. E questo stavo facendo, quando vidi che il maggiore mi guardava; e rideva. Per questo lo insultati e gli mollai il primo schiaffone».
Ascoltati come testimoni soldati e impiegati della Fabbrica d’Armi, il Tribunale Militare comprese la situazione e ritenne «che il
capitano abbia agito sotto l’impulso della forza irresistibile». Lo mandò assolto quindi, limitandosi a spedirlo in gattabuia per tre giorni per aver preso parte al duello. E il maggiore? Se la cavò con le convulsioni e forse anche lui si sarà fatto tre giorni in cella per il duello. Poi se ne tornò a Roma. Con tanti saluti alla signora.

Uno schiaffone all’amico Maggiore e finisce in duello

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