Montecastello Vibio, oltre al Teatro c’è di più

Montecastello di Vibio

“Cos’ha di particolare la porta di Maggio? Che è alta e soprattutto che s’affaccia verso la vallata: il panorama è davvero entusiasmante”. L’uomo, sulla cinquantina, biondino e mingherlino, sta lì alla Torre: è di servizio. Accoglie i turisti che a Montecastello di Vibio arrivano magari attratti dalla storia del “teatro più piccolo del mondo”, ma poi se c’è qualche altra cosa da vedere sono contenti. “Da lì sopra – dice l’uomo indicando verso l’alto col dito indice _ si vede tutto: anche il Terminillo, ma magari oggi c’è un po’ troppa foschia. E il Monte Vettore, quello del casino del terremoto di questi giorni”.

La Torre di Maggio – spiega un foglietto che sta poggiato lì sul tavolo – è una delle due antiche porte d’accesso al centro storico. L’altra era quella di Tramontana che, però, non esiste più. La Torre di Maggio – dice sempre il foglietto –è stata di recente restaurata con lavori che “hanno messo in evidenza feritoie e nicchie interne, e i merli che coronano la parte superiore della torre finalmente agibile grazie alla creazione di una comoda scala interna”. A parte la “comoda scala interna” che tanto comoda non è, il resto è verità. D’altra parte è tutto il centro storico di Montecastello di Vibio che si presenta in modo accattivante a chi è di passaggio e in visita: case antiche ristrutturate a mantenute a modo; vicoli abbelliti con vasi in cui crescono piante ricche di fiori multicolori; non un pezzetto di carta sul selciato, né una cicca.

Attraversando la Porta di Maggio, che sta sotto la torre, si sale fino ai vicoli del centro. A destra si va verso piazza Vittorio Emanuele, una terrazza sulla vallata verso Todi, su cui si affaccia la chiesa dei Santi Filippo e Giacomo, la cui costruzione fu avviata agli inizi del 1800 su iniziativa di Francesco Gazzoli, un ternano che era vescovo di Todi. In mezzo alla piazza un pozzo cisterna, che era a disposizione della collettività ma che non è l’unico esistente nel sia pur piccolo centro storico. Ce ne sono infatti altri tre nelle immediate vicinanze del Teatro della Concordia, il teatrino di 99 posti su cui sono stati scritti fiumi di parole. “Due di questi pozzi erano probabilmente privati” spiega una delle signorine che accolgono i visitatori anche per disciplinare l’ingresso al teatro (“al massimo quaranta persone per volta, altrimenti non ci si gira”). Il terzo è invece sulla sommità di un torrione che segna il tratto ovest delle antiche mura. Un torrione che è stato anch’esso oggetto di restauro e consente, anzi, percorrendo una scala chiocciola, di raggiungere la sommità delle mura. Qualche sbuffo, specie per chi è più corpulento, ma una volta saliti quei venti gradini ci si trova in un giardino pubblico che corre tutto intorno alla schiera delle abitazioni: verde e panchine. Chi vuole può riposarsi un attimo, prima d’infilarsi sotto un arco di pietra che s’apre nel muro di una casa, percorrere un breve vicolo largo quanto le spalle di un uomo, e sbucare proprio di fronte alla facciata del Teatro della Concordia. Sul torrione c’è un primo pozzo cisterna, poi gli altri due vicini l’uno all’altro. “Come mai tanta necessità d’acqua?”. La signorina del teatro è presa un po’ alla sprovvista. “Beh, ce n’è un altro sulla piazza principale, quello è più grande”, spiega. Lontana la piazza? Macché. Ci si infila in una via: sarà lunga una decina di metri. E’ dominata da una lapide, posta dal “CLN e dalla popolazione di Montecastello Vibio a imperitura memoria di Pietro Mariotti ucciso barbaramente in Doglio il 7 marzo 1944”.

A destra, si passa davanti alla biblioteca comunale, intitolata a Giacomo Leopardi, che occupa quella che fu la sede – l’insegna si legge ancora – delle Imposte di Consumo. Poche decine di metri, ma si è nel pieno dell’abitato: ecco piazza Garibaldi con la chiesa di Santa Illuminata ed ecco una prima “comoda scala” che porta alla Torre di Maggio, primo piano. Chi non sale va giù, attraversa la Porta ed è fuori. Se è stanco dalla “lunga marcia” può riposarsi alla frescura di alberi secolari sedendosi su una panchina dei giardini pubblici. E in un’assolata domenica dei primi di settembre, la cosa non dispiace.

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