L’ISTRUZIONE NELLA TERNI DELLA FINE DEL 1800
di MARIA LUISA LELLI
Nel 1853, anno di nascita di Virgilio Alterocca, Terni era una città caratterizzata da un’economia contadina. Lo sarebbe rimasta ancora per poco. La ‘conca’, attraversata da un’infinità di canali, aveva già cominciato a ospitare un gran numero di piccole concerie e d’imprese tessili di differenti dimensioni. Sotto l’entusiasmo dell’Unificazione d’Italia un fermento sconosciuto cominciò a animare gli spiriti più intraprendenti. L’uscita dal condizionante governo pontificio stava producendo i frutti più ricchi, maturati al calore della consapevolezza storica e alla luce di un’encomiabile volontà delle forze politiche e produttive di stringere un patto per dare lustro alla città e migliorare le condizioni degli abitanti.
Proveniente da una famiglia di media borghesia, Virgilio Alterocca intraprese il suo percorso di studi diplomandosi giovanissimo maestro elementare. Per quanto in casa non si vivesse nell’agiatezza, il padre, che sembra facesse il libraio, sostenne l’onere della sua formazione, incoraggiato dalle capacità e dalla volontà del ragazzo. Nella seconda metà dell’800, essere maestro non significava, di per sé, assicurarsi una vita comoda e serena. Studiare per poi insegnare non era certo la scelta più opportuna per condurre un’esistenza al riparo dai bisogni materiali. Lo stipendio di un insegnante elementare, che il Comune pagava, non superava mai 800 lire annue e, nel caso di primo impiego, com’era per Virgilio, il tetto di retribuzione massima era di 500 lire.
Fu, forse, in ragione delle migliori prospettive di guadagno che decise di trasferirsi a Forlì, dove divenne Ispettore scolastico, distinguendosi per le capacità professionali e per l’impegno organizzativo. Quando, qualche anno dopo, ritornò nella città natale, il rammarico dei romagnoli di aver perduto un punto di sicuro riferimento fu profondo. Lì aveva sperimentato quanto incidesse nella formazione delle coscienze il peso dell’istruzione e come i suoi sforzi di educatore dovessero rivolgersi a beneficio della sua terra d’origine.
Sapeva del fermento che attraversava Terni, dei progetti che si accavallavano, delle voci sul cambiamento che avrebbe dato un nuovo volto alla Conca. Sentì il dovere morale di essere partecipe della sua crescita, offrendo il suo contributo di uomo di cultura. Aveva intuito che lo spirito di rinnovamento della sua città avrebbe dovuto essere supportato dall’innalzamento del livello di conoscenza degli abitanti, dando così risposta all’enorme problema che, a livello nazionale, Cavour aveva avuto occasione di sottolineare al momento dell’Unità d’Italia: il problema dell’organizzazione sociale.
Alterocca si fece interprete della preoccupazione dello statista e individuò nello spaventoso analfabetismo la causa prevalente dell’assenza di una coscienza civica collettiva. L’inadeguatezza della legge Casati sul riordino dell’istruzione non era stata risolta neppure dalla successiva legge Coppino del 1877 che, in merito alla introduzione dell’obbligatorietà scolastica fino ai 9 anni, aveva previsto pene per i genitori inadempienti. Dieci anni più tardi, nel n. 15 del suo “L’Annunziatore Umbro Sabino”, Virgilio Alterocca constaterà amaramente: “La legge sull’istruzione obbligatoria non ha apportato tutti i desiderati benefici, tant’è vero che recenti statistiche provano come, malgrado l’obbligo degli studi elementari, nel nostro dolce paese, gli analfabeti siano in maggior proporzione delle altre nazioni d’Europa”.
Nel ternano, la percentuale di analfabeti toccava l’80%. I figli venivano utilizzati come una potenziale fonte di reddito ed era difficile far comprendere alle famiglie di dover rinunciare al loro apporto materiale solo per il “lusso” di saperli capaci di leggere o scrivere. Nella “Relazione sull’andamento delle Scuole maschili, femminili e rurali della città di Terni durante l’anni 1875- 76”, il Direttore scolastico Cavallero Sebastiani traccia un quadro impietoso ed inquietante della situazione scolastica locale. Riconosce la fondatezza delle idee ispiratrici della legge Coppino, apprezza il principio morale e giuridico della normativa, ma denuncia anche la mancanza totale del supporto finanziario, indispensabile alla sua pratica attuazione. Il direttore descrive una realtà al limite del credibile: aule di oltre quaranta alunni, umide ed insane, prive di riscaldamento, di vetri alle finestre, scarsità di arredi, al punto che parte della scolaresca non sa dove sedersi, cattedre circondate da studenti alla ricerca di un piano per scrivere, mancanza di libri, di astucci e pennini, carenza di inchiostro per riempire i calamai…
E conclude chiedendosi: “Come rispondere a quei padri che a scusare la renitenza alla legge allegano l’impossibilità di provvedere i loro figli di libri e di quanto altro a loro occorrente, perché la scuola non sia un trattenimento ozioso o un inutile perditempo?”
La drammaticità della situazione suggerì, nel 1880, la formazione di un Comitato ternano di beneficenza con il compito di migliorare le condizioni degli alunni e favorire, attraverso risorse finanziarie, l’acquisizione di arredi e materiali didattici, senza dimenticare “qualche articolo di vestiario per i ragazzi più poveri”. Del Comitato, presieduto dal Prof. Pietro Ferrari, faceva parte anche Virgilio Alterocca, che dedicò anima e corpo alla nobile causa. Ricopriva le cariche di Consigliere e di Segretario, in aggiunta a quella di cofinanziatore. Ma lo sforzo era immane, tanto che nel 1884 decise di dimettersi. Dalle pagine dell’Annunziatore Umbro-Sabino, con toni delusi ed accorati, comunicava ai lettori del giornale l’amarezza di dover desistere dal suo proposito, senza rinunciare ad indicare le colpe di quanti, all’interno del progetto, erano venuti meno agli impegni assunti.
Se l’istruzione elementare viveva i momenti tragici della sua crescita, quella superiore non era esente da problemi. Fino al 1882, era stata un monopolio degli ordini religiosi in città, gestita nell’ottica esclusiva della Chiesa e in frequente contrapposizione ideologica con gli indirizzi politici che si andavano delineando, propensi a liberalizzarla per sottrarla alla sfera d’influenza papale. Con una delibera del maggio 1882, il Comune convenne di contribuire a finanziare la Scuola Superiore femminile, istituita da un comitato di insegnanti, finalizzata a formare gratuitamente le ragazze che, in possesso di licenza elementare, intendessero divenire future maestre.
Alterocca, nel 1892 e fino al 1895, prestò la sua opera di educatore insegnando Pedagogia, nonostante gli impegni imprenditoriali l’assorbissero quasi totalmente. L’istruzione restava un privilegio riservato a pochi eletti, spesso ritenuti dai contadini dei nullafacenti, ricchi oziosi, con qualche deroga per i seminaristi, destinati alla cura delle anime. Virgilio, oltre a credere fermamente nella necessità di divulgare l’apprendimento popolare, capì anche che ogni sforzo sarebbe stato vano senza l’appoggio e il coinvolgimento politico locale. Si adoperò con impegno e professionalità, facendosi protagonista di varie iniziative e tentativi in tal senso, lottando contro la mentalità delle famiglie, restie a privarsi di braccia utili a far quadrare i miseri bilanci familiari. Sostenne una lotta impari fra l’indigenza diffusa e la ferma convinzione che non ci sarebbe stato alcun seguito allo sviluppo industriale se fosse mancato un progetto concreto di crescita culturale. Nacquero tentativi di istituire scuole serali, aperte alla frequenza di ragazzi e adulti.
La poliedrica personalità di Virgilio Alterocca ha questo solo fil-rouge che attraversa l’attività d’imprenditore, di politico e di educatore.
Partecipa a ogni azione posta in atto dall’amministrazione comunale o da privati tesa ad aumentare le possibilità dell’apprendimento, si adopera a concretizzare ogni contatto utile alla formazione di istituti, a regolarli, organizzarli, fino ad impegnarsi a prestare, spesso gratuitamente la sua opera di docente. Nessun politico del tempo ebbe chiara, come lui, la percezione dello sviluppo della città e di ciò che essa avrebbe più necessitato per crescere armonicamente per stare al passo.
La Fabbrica d’Armi era nata nel 1881, tre anni dopo aveva preso avvio la SAFFAT, nel 1886 lo Iutificio Centurini, nel 1890 le Officine Bosco, infine, nel 1897 s’inaugurava la Società Italiana per il Carburo di Calcio.
A fianco di questa esplosione industriale, cui si accompagnavano tante altre attività artigianali minori, è facile comprendere quanto fosse difficile coordinare la formazione dei giovani e degli operai ai ritmi economici della città. Il ritardo non poteva essere colmato rapidamente, poiché l’istruzione ha tempi di risposta che si misurano in anni. Proiettato il problema nel contesto temporale che considerava lo studio come pratica oziosa, l’ostinazione di Virgilio Alterocca al recupero delle differenze non solo fu lodevole, ma commovente. Che avesse ben chiaro il divario, risulta evidente dai contatti intessuti con le grandi Società del tempo e nell’instancabile ricerca di procurarsi alleati che condividessero le sue stesse aspirazioni.
A questo unico obbiettivo dedicò la sua intera esistenza, utilizzando ogni opportunità, strumento, occasione per convergere verso una medesima direzione: l’istruzione delle masse. Aveva perfettamente compreso che la dignità, la libertà ideologica di un individuo poteva aver origine solo dalla consapevolezza dei propri mezzi culturali.
L’ultimo suo sforzo lo dedicò ad un progetto ricorrente: dare vita ad una scuola che non formasse solo tecnici, ma operai che avessero le cognizioni di base per affrontare il sacrificio del lavoro, cosciente soprattutto dell’apporto potenziale che avrebbero potuto dare alla crescita della città. La grande intuizione di Alterocca nacque dalla sua impostazione socialista, ma soprattutto dalla convinzione che non esiste crescita economica in assenza di supporti formativi e culturali. La sua ossessione per l’istruzione delle masse, per la formazione professionale sono indici di un’umana preoccupazione per le condizioni di vita dei suoi concittadini.
Il disagio dei lavoratori era acuito dall’impreparazione professionale, fonte di fatica aggiuntiva e di insoddisfazione. Non fu sufficiente la presenza della Società Ternana d’Incoraggiamento d’Arti e Mestieri, sorta come filiazione del Regio Istituto Tecnico per ovviare alla carenza di formazione professionale. Il Preside, Ottavio Coletti, qualche anno dopo l’istituzione dei corsi, ebbe a lamentare la scarsa affluenza di iscritti. Le discipline impartite nei corsi della Società Ternana erano il disegno, la geometria, l’aritmetica e la lingua italiana; materie non perfettamente collimanti con le esigenze formative degli allievi, né del modello sociale del tempo.
Si pensò, allora, di adattare le discipline e i corsi alle specificità degli iscritti, facendo ricorso alla modularità degli insegnamenti, dividendoli in “liberi” e “regolari”, con un’area opzionale e una obbligatoria. La scelta può essere considerata l’embrione della futura Scuola Professionale, visto che al corso “curriculare” fu aggiunto un terzo corso a completamento dell’intera istruzione tecnica popolare, comprendente materie come Fisica, Chimica, Meccanica, integrate da applicazioni pratiche, ed infine, un quarto corso serale per l’apprendimento della tecnologia applicata alla meccanica industriale, alla geometria ed alle costruzioni. Al termine degli studi, gli allievi dovevano sostenere una prova d’esame, realizzando il cosiddetto “capolavoro”.
Era l’anno 1904 quando insieme all’ingegner Spadoni, agli avvocati Salvatori e Pontecorvi, al Cav. Corradi e all’aiuto dell’amico Luigi Lanzi, con il quale aveva scritto e pubblicato la Guida di Terni e dintorni, fondò l’associazione “Alleanza Scolastica”, fra i cui propositi esisteva quello di costituire una scuola professionale. Un Istituto Tecnico con sezione “industriale meccanico metallurgica” esisteva già dal 1883, all’interno del Convitto comunale, ma, come si vedrà in seguito, era inaccessibile ai figli degli operai a causa degli elevati costi della retta, pari al salario di un lavoratore in fabbrica. Benché la fama del Convitto si estendesse oltre i confini della città, esso non rappresentava la soluzione ai problemi della maggioranza della popolazione. “La nuova scuola deve avere per iscopo precipuo ed essenziale di rialzare il livello della cultura media nelle maestranze operaie, siano esse agricole o industriali, deve formare dei buoni ed abili operai e niente più…” . Una scuola d’Arti e Mestieri che non formi i capi, “la nostra deve fare i gregari, le masse”.
I contatti con la SAFFA furono febbrili. I dirigenti compresero perfettamente l’utilità di quel tipo di formazione, ne condivisero il progetto e individuarono un’area sulla quale dare avvio ai lavori di costruzione del nuovo edificio. In esso furono inclusi spazi per le esercitazioni pratiche e un corpo centrale per le lezioni in aula. Dopo uno stentato avvio, la scuola si affermò, richiamando iscrizioni anche da località vicine come Rieti, Poggio Mirteto, Narni e Amelia. Si articolava su quattro anni di corso, con specializzazioni in fucinatura, meccanica e falegnameria, con il primo anno comune.
Con decreto del Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio, la Scuola fu regificata l’11 settembre 1910, a riprova della validità del percorso formativo progettato. La prima pietra fu posta il 10 ottobre 1909. Virgilio Alterocca, già sofferente di un tumore allo stomaco, seguì con triste compiacimento la progressiva affermazione della sua scuola, che già dal dicembre di quello stesso anno iniziò le lezioni.
Purtroppo, però, solo per un mese si vide negato il piacere di veder riconosciuto alla sua ultima creatura il fregio di “Regia”. A riprova dell’amore che aveva dedicato alla sua realizzazione e timoroso che il processo di crescita potesse subire un rallentamento con la sua morte, lasciò scritto: “non fiori, né pompe funebri intorno al mio feretro; chi vuol fare cosa grata alla mia memoria dia il suo contributo alla scuola professionale.”