Non può non destare interesse il materiale dell’Antiquarium. Lanterne, i cippi carsulani (pietre squadrate grosse così che segnavano le sepolture), qualche altro pezzo di statua, sarcofagi. E roba di “lusso” del tempo dei Romani.

La folla si muove. Va verso le nuove scoperte, che si affiancano all’arco di San Damiano, alle tombe appena al di là di questo, al basolato della Flaminia Romana, ai templi gemelli, alla sequela delle taverne (ma erano più che altro magazzini) che sorgevano e si trovano ancora lungo la Flaminia; le terme che questa volta non sono visibili. Lì è chiuso: ci lavora un altro gruppo con un’Università americana (americana, mica italiana!). E il teatro e l’anfiteatro, talmente grandi che quella città non poteva essere certo una villaggetto con quattro abitanti.
Le nuove scoperte? Un tratto di via lastricata nella zona della dolina, dove il terreno sprofondò portandosi appresso quel che si si trovava sopra; e poi alcuni ambienti: la bottega di un fornaio, dove si è trovato il punzone per “mettere il timbro sul pane”; sessanta monete nell’ambiente ad esso vicino: in sostanza il segnale che da quella parte si sviluppava un bel pezzo di città.
Dalla parte opposta rispetto all’asse della Flaminia, subito appresso ai tempi gemelli, le nuove scoperte in quello che era il foro: ambienti lussuosi, una domus o forse due o può darsi un altro tempio: “Per provare a saperlo dobbiamo studiare tutti i reperti trovati, avremo l’inverno per farlo”, dice la guida. Ambienti pavimentati con grandi mosaici di pregevole e mirabile fattura e, sotto, un altro strato di città, antecedente: alcuni lastroni fanno pensare che lì si trovasse il foro della Carsulae dell’età Repubblicana, poi ampliata, forse recuperata, e certamente abbellita in epoca imperiale. Poco lontano ecco un tempio, il più importante della città forse anch’esso doppio. Ed insieme una strada lastricata con pietra rosa e un tempietto, anch’esso di pietra rosa. C’era un boschetto lì sopra: fitto, fitto che ogni volta che ci finiva il pallone erano dolori per riprenderlo.
Il tempo, i decenni, i secoli avevano inghiottito tutto questo insieme a chissà che altre. Ora c’è tutto da riportare alla luce, perché come diceva la signora all’amica “Non si sa quanta roba c’è ancora”. E se uno ci pensa un attimo non può che arrabbiarsi.
Vedi nel filmato la ricostruzione di Carsulae com’era⇒