Terni, il Dopoguerra e l’arte della manutenzione delle scarpe

TERNI MIA

mANNI machia di bussone

di LORENZO MANNI

Le scarpe per noi adolescenti del Dopoguerra non facoltosi (per non scrivere poveri) erano un bene da mantenere più a lungo possibile
Molti acquisti venivano fatti da Secondo il quale aveva una bancarella all’imbocco di via derl Cassero e poi si spostò di fronte, in un negozio all’inizio di via Roma. Secondo aveva varietà e rapportando prezzo qualità, spesso era il primo ad essere il più considerato.

Si compravano “a crescimento ” con un paio di numeri in più del giusto perché dovevano essere utilizzate negli anni successivi. Venivano applicati i “ferretti” sulla punta e nel tacco per ridurne i consumi; a volte venivano applicati anche lateralmente se il giovane aveva dei problemi nel deambulare : non ricordo applicazioni di plantari ad hoc in queste circostanze forse ancora non erano così ricercati e poco importava se i ragazzi crescevano con i piedi piatti, c’erano altre priorità. .
I ferretti venivano applicati subito dopo l’acquisto per non sversare la scarpa. Un’occasione per avere le scarpe nuove era il giorno della prima Comunione e fino a qui le scarpe nuove mantenevano le suole originali. Successivamente, dopo la prima Comunione c’era “l’ obbligo” di frequentare la Messa per un certo periodo e ricordo che quando in fila , noi maschietti entravamo in Chiesa in fila , il rumore dei ferretti sul pavimento, come se fosse entrato un drappello di cavalli.

La vita delle scarpe non finiva quando l’alluce andava a spingere sulla punta , si utilizzavano ulteriormente nell’estate tagliando proprio la punta della scarpa per dare sfogo all’alluce che cresceva velocemente, come la statura del ragazzo.

In estate comunque erano utilizzati anche gli zoccoli in legno ed a questi, per eliminarne il rumore e per ridurne il consumo, veniva applicato, sotto, un pezzo di pneumatico accuratamente sagomato, bollettato e rifinito.
(I genitori della mia generazione sapevano fare un po’ di tutto).

Questi due situazioni non erano molto apprezzate perché nel gioco del pallone spesso ” lu ditone ” risentiva dei calci sferrati , ma ci adattavamo alle circostanze e continuavamo a divertirci. Senza sosta . Quando più tardi si entrava a fare parte della squadra di calcio (per l’esattezza la Jiuvenilia allenata da Fabbri, che aveva disponibilità del campo federale di San Valentino) le scarpe da gioco venivano fornite dalla società, ma non erano nuove e altrettanto spesso si sceglievano di una misura “comoda ” corretta da bambagia sulla punta ed anche in questo caso bisognava adattarsi .
Tutto ciò per dire che le ” firme ” delle calzature non si conoscevano e sinceramente non so ancora se esistessero.
Avevamo altre priorità e ci divertivamo in ogni momento in cui eravamo insieme agli amici. Anche a scuola …pensa tu !

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