Ponte Toro, un monumento dimenticato per troppi secoli

All’epoca del “Grand Tour” c’era già. Ma nessuno dei tanti artisti provenienti da tutta Europa, che nel corso del loro viaggio culturale italiano immancabilmente visitavano la Cascata delle Marmore, ne fa menzione: non una parola, un verso, una raffigurazione nei dipinti. Eppure tutti loro nel XVII e XVIII secolo si sono sbizzarriti nel raccontare o fissare su tela non solo la Cascata, ma anche i luoghi vicini. Tante le descrizioni della strada che portava da Terni alle Marmore: via impervia, rocciosa, scoscesa, per qualcuno addirittura pericolosa. Tanti gli accenni a Papigno, al bosco lussureggiante traversato dal Nera che sorgeva nel tratto dove oggi si trova la centrale idroelettrica di Galleto. Eppure il Ponte del Toro stava (e sta) proprio lì, ad un tiro di schioppo, dalla centrale.

Coevo della strada Flaminia

Un’opera che alcuni studiosi comprendono tra quelle realizzate al tempo di Augusto imperatore quando si mise mano all’ammodernamento della strada consolare Flaminia (220 a.C.) di cui la strada che si snodava sul fondo della valle del Nera costituiva forse un diverticolo attraverso il quale raggiungere Rieti e la Salaria.
Se intervento dei Romani ci fu, in quell’epoca, fu soltanto quello di un adeguamento di una struttura certamente già esistente. Perché sicuramente era già stata costruita quando la Cascata delle Marmore, che ha mezzo secolo in più rispetto ai lavori del tempo di Augusto, fu realizzata.
Il Ponte del Toro era invisibile, nei secoli XVII e XVIII; perché completamente avvolto da rovi così fitti che nessuno poteva scorgerne i ruderi. Chissà da quanti secoli, già allora, quel manufatto non serviva più. In effetti quello che sembra un ponte, o almeno quel che ne è rimasto, non sembrerebbe potesse servire a granché. Fu costruito con grosse pietre a forma di parallelepipedo, sovrapposte l’una all’altra senza legante. Come senza legante sono le pietre che costituiscono l’attuale unico arco centrale. Anche queste di grandi dimensioni, tagliate a cuneo. L’arco è chiuso da roccia calcarea. L’orientamento è obliquo rispetto al corso del Nera che passa a qualche decina di metri di distanza attraversando _ ti pareva! _ una piccola zona artigianale. Capannoni ed officine non esistevano certamente, lì, quando _ nel 1819 _ il Ponte del Toro fu scoperto, né quando novant’anni dopo, finito nuovamente nel dimenticatoio, venne “riesumato” grazie alla sensibilità di uno studioso come Luigi Lanzi.
Quando fu costruito certamente aveva una sua importante finalità. Chi avrebbe, sennò, messo in campo tanta tecnica costruttiva e tanta imponenza, visto che il solo arco ha quasi dieci metri di luce ed è profondo oltre due?
Due le ipotesi: o è rimasta solo una parte dell’intera costruzione; oppure il corso del Nera era diverso e forse è cambiato proprio dopo la costruzione della Cascata delle Marmore. Un cambiamento che alcuni studiosi mettono in relazione anche con un altro fatto: l’ampliamento di una stretta gola rocciosa esistente in quella zona coincidente oggi con l’area della Cascata, che consentì un miglior deflusso delle acque di un vero e proprio lago che occupava il fondo di buona parte della Valnerina ternana arrivando fino a Casteldilago.
Un ponte che quindi esisteva già quando intervennero i Romani a ristrutturarlo, ammodernandolo, la qual cosa sarebbe testimoniata _ se non altro _ dalla differente lavorazione delle pietre che stanno alla base rispetto a quelle più in alto.

Più antico delle Marmore

Una costruzione molto antica, perciò. E che sorge in un’area in cui Massimo Pallottino, uno dei più importanti studiosi di archeologia italica, individuò come sito del più antico insediamento umano nella conca ternana.
E qui si entra nel mistero. Chi erano coloro che lo costruirono? Gli antichi Naharki? O altre popolazioni lì insediatesi. Manlio Farinacci, appassionato di storia locale le cui tesi pur non avendo “imprimatur” risultano comunque fascinose, una risposta ce l’ha: Ponte del Toro si chiamava in realtà Pont an lu Tor, dove Tor significa _in Celtico _ “porta, ingresso”. «Questa parola _ scrisse Farinacci _ col suo significato di porta la troviamo anche nelle lingue germaniche come il tedesco Tor e nel derivato inglese door». Per Farinacci, in sostanza, furono i Celti a costruire quel ponte che per loro rappresentava la porta d’ingresso nella «valle acquitrinosa» dove poi sorse Interamna: Terni.

Il fatto è che il Ponte del Toro, non è mica un ponte. E’ un’opera idraulica d’epoca Romana. E così si scopre che su di esso, su cosa fosse davvero, a cosa servisse, da chi fosse stato costruito per qualche decennio si sono scritte soltanto favole, supposizioni che, a conti fatti, non hanno fondamento. C’è chi domandandosi il perché della sua esistenza ha ipotizzato un’opera che conteneva l’antico lago formatosi nella bassa Valnerina ternana; chi invece ha dedotto servisse ad una strada per scavalcare il fiume Nera che però gli passa di fianco e difficilmente – a meno di cataclismi terrificanti – avrebbe potuto, in passato, infilarsi nell’arco centrale.I viaggiatori del Gran Tour, hanno una scusante:  non avrebbero potuto vederlo, dato che esso era ricoperto da uno spesso strato di incrostazioni calcaree. A metterlo alla luce, almeno in parte, furono le pale e i picconi degli operai che nei primi anni del XIX secolo stavano realizzando un’opera di presa per uno dei canali che portano acqua a Terni. Il Ponte del Toro, lo chiamarono subito, perché la forma era quella classica di un ponte e perché stava lì, in un punto che era chiamato “vocabolo Toro”, in linea d’aria davvero molto vicino alla Cascata.
Il destino di quel manufatto, era già segnato al momento in cui lo si ritrovò. Nonostante una qualche sensibilità ciò che interessava era la costruzione del canale. Stessa sorte, tanto per dire, toccò ad una grotta rinvenuta nello stesso periodo ed in cui furono trovati oggetti che sono di un secolo più antichi della grande necropoli di Pentima, quella “ruspata” quando si costruirono le acciaierie. Ad uno sputo dal monumento del Toro sono arrivate le mine grazie alle quali ci si è mangiata buona parte della montagna le cui pietre sono diventate calciocianamide nello stabilimento di Papigno. Poi ci ha pensato il Comune di Terni che, qualche decennio fa individuò tutta l’area vicina al Ponte come area industriale e quindi vi consentì l’installazione di piccole imprese. Poche per fortuna del Ponte del Toro.

Le ultime scoperte

Dimenticato e bistrattato, quindi, quel manufatto costruito con grandi blocchi di pietra squadrati, con un arco di dimensioni rispettabili, seppure la sua luce risultasse quasi del tutto occupata da rocce, blocchi di pietra sponga, quella pietra  tipica della zona della cascata, opera della natura col calcare che fossilizza tutto ciò che trova e sembra lo faccia molto rapidamente. Non servono millenni in sostanza.
Ma di recente il Ponte del Toro è stato studiato e restaurato ad iniziativa dell’associazione pubblico-privata ‘Archeomarmore’ che riunisce Comune di Terni, Icsim, coopsociale Actl con la supervisione e la consulenza della Soprintendenza archeologica dell’Umbria e la collaborazione del dipartimento Scienze dell’antichità dell’università ‘La Sapienza’ di Roma. Cominciata con un intervento deciso di pulizia, l’opera di restauro è proseguita andando alla ricerca di parti del ponte che risultavano ancora coperte da terra e roccia. E’ così riemersa praticamente tutta la costruzione che risulta, oggi, essere grande il doppio rispetto a quella che si conosceva. Si è studiato il basamento o meglio le fondamenta, si è trovato che il tutto poggiava molto più in basso rispetto a quel che si poteva vedere. Si è constatato che il muro di blocchi squadrati è stato realizzato secondo la tecnica usata per i ponti della via Flaminia e quindi si è stabilito che la costruzione risale a un periodo compreso tra il primo secolo a.C. e il primo secolo d.C.
E perché non è un ponte? Semplicemente perché sopra non poteva passarci una strada: è largo 2 metri e 40, ma avrebbe dovuto essere almeno il doppio perché potesse passarvi un carro. E poi da un lato è addossato alla roccia. Quindi si tratta di un’opera di regolamentazione idraulica, si è stabilito. Ma regolamentazione di che? Del lago “famoso” della Valnerina? Sembra proprio di no questo lago non esisteva negli anni a cavallo della nascita di Cristo. L’ipotesi è che dal Velino l’acqua raggiungesse il Nera attraverso una specie di canalone che scende dalla montagna della Sgurgola e va a finire proprio lì dove sta il “Ponte”.

 

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