
Il principe Wassili d’Angiò, personaggio piuttosto originale, informò della sua iniziativa i giornali che la resero di pubblico dominio il 24 aprile 1959. Va bene che il principe era uno dalla denuncia facile, ma la storia era interessante.
La signora Anna Anderson Tchaihosky sosteneva di essere in realtà la granduchessa Anastasia Romanoff, ultimogenita dello zar Nicola II, la quale era sfuggita miracolosamente alla strage della famiglia imperiale a Ekaterinenbourg.

D’Angiò andò su tutte le furie e intervenne per “difendere e tutelare la memoria della casa imperiale e di impedire che essa venga usata per ignobili speculazioni finanziarie”. Che c’entrava lui? Beh, lui era un D’Angiò, sì, ma russo, e non solo perché si chiama Wassili. Era nato a Pietroburgo nel 1888 ed era l’ultimo discendete dei D’Angiò, la famiglia che regnò a Napoli e in Sicilia, poi in Albania, quindi in Ungheria da dove si trasferì in Russia. Fu capitano della guardia del corpo imperiale e consigliere onorario al ministero degli esteri dell’Impero russo. Nekl 1917, al momento della rivoluzione, fu arrestato e rinchiuso nella fortezza di Pietro e Paolo a Pietroburgo, ma fuggì corrompendo con una notevole somma di denaro “un’alta personalità politgica della rivoluzione”, disse. E fuggì in Italia dove aveva ancora delle proprietà, tra cui la Rocca di Narni, sbarcando il lunario con le rendite e lavorando come attore anche cinematografico con un certo successo con le pseudonimo di Carlo Bianco.
Lui la granduchessa Anastasia la conosceva bene e quella donna non era la duchessa Anastasia. Assolutamente. Ne aveva le prove che era pronto a presentare ai giudici di Amburgo.
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