Attentato al duce: massoni ternani sotto accusa

Il 26 novembre 1925

Fu approvata la legge contro le associazioni segrete, e in primo luogo contro i massoni e la massoneria, avversati con estrema decisione dal fascismo. Una legge che arrivava a puntino, per la particolare situazione che s’era determinata a Perugia e soprattutto a Terni, dov’era in atto un’azione stringente tesa alla chiusura delle logge.

Generale , Zaniboni Mussolini
Luigi Capello

La massoneria ternana era fortemente sospettata di avere svolto un ruolo di primaria importanza nel quadro del fallito attentato a Mussolini, programmato per il giorno 4 novembre 1925. Gli accusati principali erano Tito Zaniboni, deputato socialista e massone, e Luigi Capello, il generale di Caporetto, il quale aveva aderito subito al fascismo ed era stato uno degli apripista della “marcia su Roma”, ma aveva abbandonato il fascismo nel 1923, quando si stabilì l’impossibilità per un fascista di essere anche componente della massoneria. Tito Zaniboni, che doveva essere l’autore materiale dell’attentato, fu arrestato poche ore prima che potesse portare a compimento il suo proposito, che era quello di sparare a Mussolini. Il capo del Governo, dal balcone di Palazzo Chigi, avrebbe arringato la folla per la clebrazione della vittoria, il 4 novembre. Zaniboni avrebbe fatto fuoco dalla finestra di un camera d’albergo, posta proprio dirimpetto. Ma Zaniboni fu arrestato prima dell’ora X e l’attentato fu sventato. S’innescarono però reazioni e interventi polizieschi in serie.
Sia Capello che Zaniboni, secondo alcune informative della polizia, erano stati assidui frequentatori di Terni nel mese precedente al fallito attentato. E a Terni s’erano incontrati con esponenti della massoneria locale. Agenti di Ps, poche ore dopo l’arresto di Zaniboni, piombarono nella casa del maestro venerabile della loggia ternana “Petroni”, il direttore dell’ufficio del registro Arturo Bianciardi che s’era reso irreperibile. Perquisizioni furono effettuate anche negli uffici delle acciaierie “Terni”, in particolare in quello del direttore generale ingegner Antonio Magroni.
La notizia si sparse rapidamente in città, con enorme scalpore. Subito s’era organizzata una manifestazione per mostrare “l’affetto della popolazione ternana al suo duce”, con vibranti discorsi e duri attacchi ai vertici della “Terni” coinvolgendo, oltre al direttore generale, altri dirigenti. Ci furono anche tafferugli, con tentantivo di aggressione di alcuni massoni, ma ad andarci di mezzo furono due camerati, un ufficiale in congedo e l’allora corrispondente del giornale Il Messaggero, Augusto Pozzi.
Le indagini, tanto rapide e serrate, non portarono a scoprire alcunché. Cosicché le iniziative della prima ora rimasero senza seguito, anche se continuò la campagna contro la pericolosità della massoneria ternana dipinta cpome particolarmente attiva contro il regime, al punto che ci fu chi adombrò la possibilità che proprio Terni potesse essere il focolaio di una possibile sollevazione contro il Governo. Iniziò di conseguenza l’opera di chisura e smantellamento delle logge e la legge del 26 novembre capitò come il cacio sui maccheroni.

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