Ciclismo, cinque record mondiali di Elvezio Palla

Elvezio Palla

Era già in guerra l’Italia quando Elvezio Palla, il 18 novembre 1940, scendeva in pista al Velodromo Vigorelli, a Milano. Una pista sconosciuta per il corridore di Terni (era nato a Leonessa,provincia di Rieti, ma s’era trasferito da ragazzino) che aveva intenzione di tentare il record mondiale dei 50 chilometri.

Quella, cominciata alle 13 e 20, doveva essere solo una prima prova di assaggio, ma Palla partì forte e su consiglio del direttore sportivo decise che quello diventava il tentativo ufficiale. Allo scadere della mezz’ora il corridore ternano aveva percorso 21 chilometri e 624 metri ed aveva un vantaggio sul detentore del record, Carmine Saponetti, di 427 metri, più di un giro di pista. Ad un’ora il vantaggio era salito ad un giro e mezzo. Poi, però, Palla cominciò a calare. L’andatura era comunque buona per cui il programma cambiò nuovamente: “Vai avanti veloce ma non dare tutto – gli urlò il direttore sportivo mentre passava – proviamo il record dei cento chilometri”. Ai 60 chilometri passò a tempo di primato con 22 secondi di vantaggio su Saponetti, che scesero a 17 al 70 chilometro, a un quinto di secondo al 90. Al 94. Elvezio Palla non ce la faceva più. Si fermò. Mise nel palmares, comunque, cinque primati mondiali: quello delle due ore, e quelli del 60, 70, 80 e 90 chilometri.

Ma era il primato dei cento chilometri, quello che gli stava a cuore e così Elvezio Palla ci riprovò pochi giorni dopo. Ancora un tentativo infruttuoso da parte del ciclista ternano che, informavano i giornali sportivi, era classificato come “Indipendente”, era alto 1,72 m. per 72 chili di peso, difendeva i colori della “Polisportiva Borzacchini” e dal 1934, quando aveva cominciato a correre, al 1940 aveva collezionato 35 vittorie. Il perché dell’insistenza di Palla si può capire anche alla luce di un piccolo articolo riportato proprio sui giornali sportivi in quei giorni con cui si riferiva che la Federazione Ciclistica Italiana aveva dato un premio a Saponetti, il detentore del record: centomila lire. Che nel 1940 non erano bruscolini.
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