Renato, il negozio al camping e quattro calci al pallone sulla spiaggia

RENATO arrivava tutte le mattine intorno alle 5 e mezzo su una bicicletta da donna che, chissà quanto tempo prima, forse era celeste, perché quello era il colore che affiorava un po’ dappertutto, tra ruggine e scrostature. In bici ogni mattina, faceva una decina di chilometri per arrivare da casa sua, vicino Silvi Marina,fino a Montesilvano, al camping Europe Garden. Lì, quel giovanotto biondino, bassetto, la camminata caracollante faceva il ragazzo di bottega, in uno  di quei casotti un po’ in muratura, un po’ di pali di legno, cannucciola e lamiera per copertura. A cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta erano tutti così: lì c’erano il bar, il ristorante,; lì di vendeva ogni genere alimentar, dalla frutta alle merendine dolci, alle lamette da barba. Era così anche all’Europe Garden, l’unico  campeggio davvero internazionale esistente lungo la riviera tra Pescara e Silvi. Tra i circa duemila campeggiatori, ospitati sotto una sterminata pineta di cui ormai rimamne solo una mnima testimonianza, gli italiani era davvero pochi: per il resto svizzeri, tedeschi, belgi, francesi, inglesi, canadesi. Gli annunci di servizio, l’altoparlante, li diffondeva sempre anche in tedesco, francese, inglese, le lingue che maggiormente si sentivano parlare.  Renato, se interpellato, rispondeva immancabilmente in abruzzese. Per la verità era nato in un paesino delle Marche, ma era bambino piccolo quano la sua famiglia si trasferì in una casa nella campagna di Silvi.

Frequentava le scuole tecniche e d’estate faceva quel lavoro lì: accatastava cassette di frutta vuote nel magazzino di “bandone”, buttava via le foglie mosce delle piante dell’insalata, rinfrescava la frutta, pesava e incartava ciò che i clienti acquistavano.

Alle cinque e mezza del mattino, appoggiata la bicicletta al tronco di un pino maestoso che stava proprio lì sull’ingresso del camping, si sedeva su una vecchia poltrona sradicata da un autobus. E aspettava i camioncini de ifornitori. Aiutava a scaricare, poi, quando alle 6 arrivava il principale, metteva tutto a posto all’interno del negozio.

Mentre aspettava l’arrivo dei fornitori scambiava quattro chiacchiere con tre o quattro giovanotti di Terni. Noi, quei quattro, rientravamo per andare andare a dormire. Le vacanze si facevano anche così: autostop, bagaglio essenziale, e per il resto ci si arrangiava: la tenda presa in prestito all’oratorio. scatolette di tonno e carne portate da casa. Ogni cento lire risparmiate corripondevano a una mezza giornata di vacanza in più. E Renato ci regalava ogni mattina una pesca, una banana, un uovo rimasto dal giorno prima: qualcosa da mangiare per colazione a mezzogiotno, quando ci saremmo alzati. A quell’ora Renato aveva quasi finito col lavoro. All’una il negozio chiudeva e si apriva il ristorante. Alla riapertura pomeridiana Renato non serviva. Tornava a pranzo a casa, ma spesso rimaneva fino alle quattro con noi. Mentre tutti erano a pranzo, sulla spiaggia si potevano dare quattro calci al pallone. E Renato, cambiava. Era la sua passione. «Gioco con le giovanili del Giulianova – raccontò mentre gli occhi gli brillavano – quest’anno ho esordito in serie C. Ho giocato solo le ultime due partite. M’hanno detto che alla ripresa del campionato mi mettono nella rosa della prima squadra».

E così fu avvenne. L’anno dopo, a luglio, lo ritrovammo lì, a scaricare le cassette di frutta al camping. «Allora, Rena’? Come va?». «Ce l’ho fatta so’cuntende».«Adesso guadagni, allora. Perché stai di nuovo qui?». E Renato spiegò che, sì, aveva giocato quasi tutte le partite, ma che siccome gli avevano fatto il contratto ad inizio del campionato con la squadra giovanile, sempre trentamila lire al mese prendeva, e solo per la durata del campionato. Era raggiante comunque, perché tutti gli dicevano che era bravo, i giornali avevano parlato di lui. «Ma quest’anno il contratto lo devono rivede’», sorrideva.

RenatoPassarono veloci quei giorni di vacanza. Renato continuò a farsi una ventina di chilometri al giorno con la bici da donna mezza sverniciata. Fino a settembre, poi in campo, Qualche anno dopo,col Perugia in corsa per la serie A, si fece un gran parlare di questa coppia ex Como: Curi e Vannini Una coppia forte, che avrebbe costiuito l’ossatura della nuova squadra di Castagner. «Hai visto Renato?  Va forte!», disse uno degli amici delle vacanze a Montesilvano. «Renato?!». «Sì, non te lo ricordi Renato?». Eccolo lì Curi, in televisione e nelle foto sui giornali. E’ cambiato: i capelli sono sì biondo scuro, ma non più a  spazzola. Anzi, ha una chioma fluente, tutti ricci. E due baffoni. Però basta che corra: si è lui.Ma guarda là, è proprio Renato. Col Perugia è arrivato in serie A. Il campionato del ’76 era alla fine. Il Perugia batté la Juventus per 1 a 0 nell’ultima partita.Curi segnò quel gol che ai bianconeri costò il campionato.

Renato
Il gol alla Juventus (foto dal sito www.ac-perugia.com)

Nel dopo gara, negli spogliatoi, quando uscì con i riccioloni ancora bagnati, la borsa a tracolla, fu assalito dai cronisti. Subito un microfono sotto la bocca. Impossibile andare a salutarlo, a mostrare la soddisfazione di vedere che quel un ragazzo serio, che non aveva esitato a darci una mano in quel camping di Montesilvano, ce l’aveva fatta, chiedergli di lui, ricordare magari quelle giornate d’estate, quei quattro calci al pallone sulla spiaggia. Il suo sguardo venne dalla mia parte, gli occhi si appuntirono come uno che mentre parlava della partita scavava nella memoria domandandosi dove aveva già visto quella faccia. Mentre ancora durava l’assalto dei cronisti arrivò una ragazza: Celia, sua moglie. Era su misura per lui, si sciolsero dall’assedio e si avviarono al parcheggio. Lui le teneva un braccio sulle spalle. Vabbè, vivevamo entrambi a Perugia, operando inndue settori che erano in “rotta di collisione”, Non sarebbe mancata l’occasione di incontrarlo con più calma.

Invece non fu così. Qualche mese dopo per me  arrivò la cartolina precetto. In divisa, a Diano Marina, una domenica di libera uscita. Era la fine di ottobre del ’77, pioveva, come un po’ in tutta Italia, quel giorno. Per il gruppetto di militari era scontato finire in un bar, se non altro per sentire i risultati delle partite, a Novantesimo minuto. Proprio mentre si entrava, c’era in tv il collegamento con Perugia e Carlo Bellucci, con viso preoccupato, Rai annunciava il malore di un giocatore. Ancora non si sapeva niente di certo, ma la faccenda tra seria.«Che è successo?». «S’è sentito male Curi». Renato,  quel ragazzo della bici scrostata, serio, onesto e lavoratore. Insieme giocammo a pallone sulla spiaggia di Montesilvano.

Chissà se se lo ricordava.

Walter Patalocco

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