Calvi e la festa di San Pancrazio con la “revisione dei confini”

Storia e Memoria

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di SERGIO BELLEZZA

12 maggio: Festa di S. Pancrazio, patrono di Calvi dell’Umbria, dove ogni anno si ripetono festeggiamenti, il cui rituale, a detta degli storici, risale al XIII secolo. Essi ruotano intorno alla figura del Santo, martirizzato a soli 14 anni, rappresentato da un solo Signorino a cavallo. In costume romano e con uno stendardo rosso, cui s’affiancava l’altro, di colore bianco, concesso agli abitanti di Striano ed Altaino, ospitati alla “Costa”, dopo la distruzione dei loro castelli.

A rappresentare oggi S. Pancrazio, quattro signorini e quattro stendardi, grandi drappi di tela, su cui è dipinta l’immagine del Santo. Sostenuti dai relativi Gonfalonieri, due rossi e due bianchi, simboleggiano i primi il martirio, gli altri la purezza del giovine Pancrazio.

Anticamente rappresentavano le quattro parrocchie del paese; da quando sono state ridotte alle sole S. Maria Assunta e di S. Francesco, indicano le quattro contrade paesane: Fiamme, Castello, Croce e Drago. La festa origina da un fatto storico: la controversia tra Calvi e Poggio per il possesso della cima di Monte Rosaro conclusasi coll’arbitrato del 1456 di Papa Callisto III, che stabiliva i confini tra i due contendenti.

Da allora, a ricordo, si svolge simbolicamente, ogni anno su monte S.Pancrazio, una “Revisione dei confini” alla presenza dei rappresentanti di Calvi, Otricoli e degli altri confinanti: Stroncone, Lugnola, Configni. La mattina del 12 maggio, dopo la messa, il 1° Signorino e il 1° Gonfaloniere partono per il monte, mentre gli altri tre rimangono a difesa del Castello. A consigliarlo la volta in cui vennero aggrediti dai Narnesi, mentre gioiosi e festanti si portavano sul Monte.

Disarmati, ci racconta don Gelindo Ceroni, si difesero con armi e bastoni dall’assalto nemico, mentre una popolana, Maria Ceccobelli, sottraeva dalle loro mani il drappo rosso, riportandolo in paese. La Comunanza, in segni di riconoscenza, volle che fosse la stessa eroina, finché in vita, a conservarlo nella propria abitazione.

Il rituale sul monte prevede anche l’adorazione del Santo in quella chiesetta, eretta in suo onore in tempi antichi dalla comunità calvese.

Durante l’ultimo conflitto il tetto fu divelto da un’esplosione, che distruggeva l’attigua casa dell’Eremita. A ripristinarlo nell’estate del ’46 Biagio Stentella, come segno di ringraziamento a S.Pancrazio per il ritorno, sani e salvi dalla guerra, dei suoi quattro figli. Allo scopo fu necessario portare sul monte un lungo trave, trasportato fino a Terra rossa sul carro buoi di Sante Bobbi, un vicino di casa. Finita la strada, venne sistemato sulla bardella di un’asina, per poi proseguire fino in cima, tra la boscaglia e lungo impervi sentieri.

Una salita di parecchie ore, col buon Sante che faceva da apripista a colpi di roncola, mentre Liborio ne sosteneva la punta, Biagio la parte finale, cercando così d’aiutare

l’animale, condotto dall’altro figlio Valentino. Tra giugno e Agosto, i lavori di ripristino, grazie all’opera muraria di Giuseppe Antonelli, coadiuvato come manovale da Marino Montecaggi. A garantire la sussistenza, la sorella Giacinta, moglie di Francesco Mazzocchi, che due volte la settimana, “torcella” in testa, alle tre di notte s’avviava con cibarie e stoviglie, per essere all’ora della colazione sul monte.

La chiesetta fu vent’anni più tardi oggetto di restauro ad opera di un apposito Comitato, a dimostrazione della devozione dei Calvesi per il Santo e del loro grande amore per San Pancrazio.

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