Da Amanzi a Stocchi, e Terni fu la città della “gazzosa” nelle bottiglie con la pallina

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Storia e Memoria

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di SERGIO BELLEZZA

Un tempo, soprattutto in estate, al bar o all’osteria, ci si dissetava con un boccale di birra, un bicchiere di chinotto o di spuma, come pure con una bella “bicicletta”, un nome che ci riporta alle gesta sportive di campioni del pedale come Guerra e Binda, Coppi e Bartali, a quelle due ruote, il cui uso risolverebbe parecchi problemi del traffico cittadino e eliminerebbe smog e tasso d’inquinamento. Nulla di tutto questo: il termine indica semplicemente un misto di birra e gassosa (ma a Terni era la “gazzosa”), il cui consumo, e con esso il gusto e sapore, è stato soppiantato nell’era consumistica da bibite come la Coca Cola e la Sprite, la Pepsi e la Fanta,

Quel bicchiere di birra e gassosa, ieri tanto in voga, costituiva una vecchia abitudine, che addolciva spesso nel chiuso di una bettola o dentro i caffè il tran tran quotidiano, la magra esistenza di giovani e vecchi, di uomini e donne. Una mescolanza antica, dal sapore gradevole e con tanta schiuma, che soddisfaceva il palato e toglieva l’arsura. Riservata ai grandi, era di fatto vietata ai bambini, che potevano bere solo gassosa.

Se la birra era di produzione nazionale o addirittura estera, la gassosa veniva fatta in loco. A Terni a fabbricarla erano addirittura in quattro: Stocchi, Marcello Pazzaglia, Amanzi in via Roma e Bisaccioni, il più noto di tutti. La ricetta: acqua e zucchero, estratto di limone, una spruzzata di anidride carbonica e tante bollicine. Il contenitore: quello classico di vetro con la pallina, che sostenuta dal gas, faceva da tappo, e che il più delle volte andava in frantumi. Si recuperava così la biglia, per la gioia di noi ragazzi che correvamo a giocare a “ colpì e buca “ e a “ senza criccu e schizia, do’ và ce la tiri”. La bottiglia con la pallina in voga nell’ante-guerra, venne sostituita da quella col tappo a corona.

I ragazzi continuarono a bere gassosa e presero a collezionare i tappi delle varie ditte. Mantennero il gioco delle biglie e ne inventarono uno nuovo: quello dei “birra peroni” o delle “bicchierette”, tappetti con all’interno la foto di questo o quel campione. Sull’asfalto, che cominciava ad invadere le nostre strade, col gesso si disegnava il circuito; poi, inginocchiati per terra e a colpi di “sticchiozzi” si facevano avanzare i tappetti. Vinceva chi riusciva a tagliare per primo il traguardo, senza naturalmente andare fuori pista.

Giochi innocenti di un tempo passato, di cui si sta perdendo la memoria e il cui ricordo testimonia un’esistenza più semplice, più sana, più bella.

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