“E mo… moplen”, uno slogan che rilanciava il polo chimico Polymer a Terni

POLO CHIMICO TERNI moplen

Storia e Memoria

di SERGIO BELLEZZA

Storia e memoria rubriche fonderia calvi VELIVOLO

La riapertura del polo chimico, a cavallo degli anni ’50, apriva spiragli di rilancio per l’economia ternana. Creato dalla SAIGS, avrebbe dovuto produrre, in tempi di autarchia, la gomma sintetica a partire dal butadiene, ricavato dall’aldeide acetica, derivata a sua volta dal carburo di calcio, che si produceva a Papigno in gran quantità.

Una fabbrica mai decollata, con i macchinari “preda di guerra” dei tedeschi e gli spazi utilizzati dagli Alleati come campo di concentramento, in cui fu reclusa per un breve periodo anche Donna Rachele coi figli Anna Maria e Romano Mussolini.

A riattivarlo era il gruppo Montecatini, che fondava in quegli anni la società Polymer per la produzione di resine a partire dall’acetilene, ricavato anch’esso dal carburo ed usato come combustibile nei cannelli ossiacetilenici, come materia prima per la produzione di acido acetico e suoi derivati, di solventi come la trielina, di sostanze plastiche come il cloruro di vinile, il neoprene, l’acetato di vinile.

L’esplosione si ebbe con la produzione del propilene isotattico, commercialmente conosciuto come Moplen, ottenuto sfruttando industrialmente quel brevetto, che valse a Giulio Natta il Premio Nobel per la chimica. A lanciarlo sul mercato una campagna pubblicitaria aggressiva e ben congegnata, imperniata su “Carosello”, dove un gioioso e scanzonato Gino Bramieri canticchiava “E mo, …e mo,… Moplen”.

Il suo successo commerciale dava ancora una volta la misura del genio italiano, rinvigoriva la nostra industria e rilanciava l’economia nazionale, avviata, dopo gli anni della ricostruzione bellica, verso un vero e proprio boom.

Terni viveva una nuova rivoluzione industriale, coll’arrivo in città di manodopera proveniente da più parti d’Italia, richiamata dalla possibilità di lavoro e da uno stipendio sicuro.

Parecchi si sistemarono a Collescipoli, prossimo alla fabbrica, dove gli affitti erano a più buon mercato e in cui ritrovavano un ambiente molto simile al loro paese di provenienza: la chiesa, la piazza, il bar, l’osteria. Il borgo, col suo tessuto urbano, racchiuso all’interno delle mura castellane, li accoglieva generoso. L’incremento abitativo lo rendeva più vivo e pulsante, colle case sovraffollate, due massimo tre stanzette a famiglia, il vociare di bimbi e ragazzi che riempiva le piazze e i vicoli, la vita d’ogni giorno colorita dalle chiacchiere e dai pettegolezzi della gente.

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