Nell’informare dello sciopero, L’Avanti aveva sottolineato come i guai per i lavoratori erano cominciati con l’avvento dei nuovi prorietari. Le condizioni per gli operai, tra cui numerose donne, “sono peggiorate non poco e per le tariffe, e per le condizioni di lavoro: l’imposizione delle undici ore di lavoro notturno è stato il massimo di questo peggioramento”, scrisse l’Avanti!
Tutto cominciò verso la fine di gennaio, quando una commissione dilavoratori – ormai esqsoperati – illustrò le rivendicazione degli operai alla direzione. Si chiedeva che le filatrici tornassero a guadagnare 1 lira e 25 al giorno come in passato, e che anche il salario dei filatori andava reso stabile intorno alle 3,50 lire. Lo stesso lavoro – chissà perché – era normale fosse pagato molto dimeno alle donne. Eppure furono le furono le donne le prima a protestare, con le ottanta ragazze licenziate che andarono in coreo in Prefettura.
Una prima concessione della direzione fu la disponibilità a pagare la giornata anche a coloro che non potevano lavorare perché le macchine cui erano addetti erano ferme per manutenzione. Un po’ poco, a fronte delle richieste: 3,50 lire al giorno per i filatori, 1,25 per le filatrici; aumento di 10 centesimi al giorno per le ragazzine che “fanno lo stesso lavoro della filatrici cottimiste”; un medico eletto dagli operai per la verifica sanitaria mensile della fabbrica; il ritorno al lavoro di tutti i dipendenti.
Condizioni insotenibli, sostennero in una dichiarazione ufficiale al Messaggero, i titolari del lanificio: “Piuttosto chiudiamo”. “Nessuno crede tanto matti i signori proprietari da chiudere uno stabilimento che ha(sic)loro costato 800.000 lire comprato recentemente e comodo oltretutto per la forza motrice idraulica”.
L’8 febbraio, con la mediazioni del sottoprefetto, del sindaco Silvestri e dell’assessore Mattioni, si trovò alla fine un “accomodamento”: il rientro in fabbrica di tutti di dipendenti; il pagamento di 40 centesimi l’ora di salario in caso di macchine ferme per riparazione o altro; indennità di 5 lire per i quindici giorni di forzata disoccupazione a causa dello sciopero e della serrata.