13 aprile 1944, la strage nazifascista di Calvi e il colonnello della Milizia che fece la spia

I martiri di Calvi dell’Umbria

Storia e Memoria

di SERGIO BELLEZZA

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Il 13 Aprile del ’44 si perpetrava a Calvi dell’Umbria l’ennesima barbarie nazista. A cadere sotto il piombo tedesco undici inermi cittadini. Il giorno precedente le SS avevano rastrellato in paese un centinaio di uomini. Verificatane l’identità, ne trattenevano una decina, trasferiti  in stato di fermo nella locale caserma dei Carabinieri. A questi s’aggiunsero Fabbri Fabrizio e Sernicola Ernesto, catturati dalle stesse SS a S. Maria in Neve e S. Maria Maddalena, dove avevano ammazzato Pettirossi Angelo, Caraffi Lorenzo e Pielicè Federico. All’alba i prigionieri erano  falciati dal piombo nazista. Una lapide ne tramanda i nomi, documenti riservati danno indicazioni sulle loro presunte colpe:

Adolfo, Emilio, Gino, Ernesto e Genesio Guglielmi, questi ultimi di appena 16 e 17 anni, la cui famiglia conduceva a Calvi un piccolo albergo e dava asilo, secondo l’accusa, a elementi partigiani. Inoltre Emilio, carabiniere sbandato, si sarebbe dato alla macchia con altri antifascisti, cui avrebbe  poi fornito viveri e dato assistenza.

Il dott. Salvati, medico condotto del Paese: ufficiale medico nei campi di concentramento di Vetralla, Colfiorito e Passo Corese, dopo l’armistizio era tornato a Calvi, dove esternava liberamente i propri sentimenti e prestava cura a partigiani e militari alleati.

Il barbiere del posto, Liberato Montegacci, noto oppositore al regime, reo d’aver raso loro la barba e tagliato i capelli a soldati inglesi.

Il Fabbri fucilato per avergli trovate in case munizioni da caccia, in realtà per il rifiuto di partecipare all’ammasso e rifornire di viveri le truppe tedesche.

Il Sernicola considerato  un fiancheggiatore dei partigiani.

I documenti non citano le imputazioni a carico di Ranucci Mario, Lieto Antonio e Landei Olindo, il primo nativo di Greccio, gli altri rispettivamente di Casapulla e Contigliano. Il solo fatto di non essere del posto, fu sufficiente a ritenerli combattenti alla macchia.

Due le ipotesi sull’eccidio: la prima che il comando tedesco avesse infiltrato uno dei suoi  soldati  tra i partigiani di monte S. Pancrazio; l’altra più accreditata, che un colonnello della milizia e il figlio, paracadutista nonchè fanatico fascista, abbiano compilato e consegnato alle SS un elenco di persone da fucilare. A nostro giudizio, entrambe di esse contengono un pezzo di verità. Tra i partigiani della Gramsci, a Monte S. Pancrazio, c’era un paracadutista romano, che arrestato a Poggio d’Otricoli con Orazio Costorella (⇰), venne risparmiato dai tedeschi, a differenza dell’altro barbaramente ucciso. Facile pensare a “quel paracadutista” fosse un possibile infiltrato, il delatore, cui addebitare insieme ai due fascisti, padre e figlio, la responsabilità dell’eccidio. La documentazione relativa alla strage, che indicava anche i responsabili, finiva insieme a quella di altri massacri nazisti nell’armadio della vergogna.  Riemersa negli anni ’90, era oggetto d’inchiesta, presto archiviata, senza arrivare ad una sentenza, che condannasse i responsabili.  L’eccidio di Calvi rimaneva così una strage impunita. 

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